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Permesso di costruire, silenzio assenso e autorizzazione paesistica

Con sentenza 16 ottobre 2019, n. 2171, il TAR Milano fissa il principio secondo cui il permesso di costruire su’un area soggetta a vincolo paesistico che è anche sito di interesse comunitario (SIC) può costituirsi mediante silenzio-assenso.

Nel caso di specie, i ricorrenti avevano presentato domanda di permesso di costruire, previa acquisizione dell’autorizzazione paesistica dall’Amministrazione Comunale la quale conteneva anche la presa d’atto dell’autorizzazione da parte della Comunità Montana ente gestore del SIC.

Il TAR chiarisce che, in questo caso, per la valutazione paesistica è sufficiente l’autorizzazione acquisita dal Comune, potendosi dunque escludere l’applicazione delle disposizioni previste dall’art. 14 della l. 241/1990 sulla conferenza dei servizi che impone la conclusione dell’iter procedimentale necessariamente con provvedimento espresso

nella fattispecie specifica la mancanza della necessità di altri pareri ed autorizzazioni di altri enti giustifica l’applicazione della normativa in materia di silenzio assenso.

Altresì, una volta che l’Amministrazione abbia preso conoscenza della formazione del silenzio assenso, con la pubblicazione sull’albo comunale della dichiarazione dei ricorrenti in merito all’avvenuta formazione del permesso di costruire, tale pubblicazione soddisfa la disposizione di cui all’art. 20, co. 6, DPR 380/2001:

deve infatti ritenersi che tale pubblicazione sia stata effettuata per assegnare ad essa il significato di presa d’atto della formazione del titolo edilizio.

Ciò comporta che l’Amministrazione se vuole incidere sull’efficacia del titolo edilizio formatosi tacitamente può farlo solo attraverso l’esercizio dei poteri di autotutela ai sensi dell’art 20, co. 3, l. 241/1990.

La sentenza 16 ottobre 2019, n. 2171 del TAR Lombardia, Milano, sez. II, è disponibile sul sito della Giustizia Amministrativa attraverso il motore di ricerca a questo indirizzo

Abusi edilizi e rilevanza del decorso del tempo: una "terza via"?

Con sentenza 30 giugno 2017, n. 3210, il Consiglio di Stato dichiara la legittimità di un'ordinanza di demolizione intervenuta a decenni di distanza dalla realizzazione dell'immobile abusivo, affermando l'irrilevanza del decorso del tempo dalla commissione dell'abuso nei confronti del potere repressivo della P.A., potendo al più rilevare (al fine di esigere dall'Amministrazione una motivazione aggravata del provvedimento) il tempo trascorso dall'accertamento dell'abuso alla notifica dell'ordinanza di demolizione.

Nel silenzio della legge (cfr. in particolare artt. 27 e 31 D.P.R. n. 380/2001), che nulla dice al riguardo, il decorso del tempo dalla realizzazione dell'abuso non sana né mitiga l'abusività dell'opera e non scalfisce in alcun modo il potere sanzionatorio riconosciuto alla P.A., espressione di un interesse pubblico al ripristino della legalità violata, che deve ritenersi legittimamente esercitabile anche a distanza di anni dalla costruzione del manufatto abusivo, fosse anche nella misura di alcuni decenni. 

Alla luce di ciò, giurisprudenza amministrativa tuttora maggioritaria ritiene che un'ordinanza di demolizione di manufatto realizzato in epoca risalente non necessiti di forme o motivazioni particolari, essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla rimozione dell'abuso, sicché il provvedimento può legittimamente limitarsi ad indicare l'opera e l'assenza di titolo abilitativo alla sua realizzazione per comminare la sanzione demolitoria (ex multis Cons. Stato, IV, 12 ottobre 2016, n. 4205; ib., VI, 10 settembre 2015, n. 4222).

Negli ultimi anni si è tuttavia fatto strada un orientamento che, nel caso di abusi risalenti nel tempo, su porzioni limitate dell'immobile, realizzati da soggetto diverso dall'attuale proprietario di buona fede, richiede, pur senza negare la natura vincolata del provvedimento repressivo e l'attualità dell'abuso, che l'ordinanza di demolizione sia motivata sotto lo specifico profilo della sussistenza dell'interesse pubblico alla messa in pristino dello stato dei luoghi.
In tali “casi limite” non sarebbe pertanto sufficiente la presa d'atto dell'abuso per giustificarne la demolizione, ma occorrerebbe dare atto della prevalenza, nella situazione specifica, di un interesse generale al ripristino rispetto al contrapposto interesse privato al mantenimento del manufatto, forte dell'affidamento ingenerato dal trascorrere del tempo senza alcuna contestazione sulla legittimità dell'opera e dalla buona fede dell'attuale proprietario, estraneo alla realizzazione dell'abuso (Cons. Stato, IV, 4 febbraio 2014 n. 1016; ib., V, 15 luglio 2013, n. 3847; ib., VI, 5 gennaio 2013, n. 13; ib., VI, 18 maggio 2015, n. 2512; TAR Calabria, sede di Catanzaro, I, 14 ottobre 2011, n. 1356, commentata a questo indirizzo).

Da ultimo, la sezione VI del Consiglio di Stato, preso atto dei due differenti orientamenti emersi e ritenendo sussistere un contrasto giurisprudenziale sul tema, ha rimesso la questione all'Adunanza Plenaria (Cons. Stato, VI, ord. 24 marzo 2017, n. 1337, citata in questo commento).

Sinteticamente esposti i termini del dibattito tuttora in atto, la pronuncia qui in esame si distingue per aver aggiunto un nuovo spunto di riflessione al tema.

La vicenda riguarda l'impugnazione di un'ordinanza di demolizione di una tettoia abusivamente realizzata negli anni Settanta dal precedente proprietario dell'immobile, di cui viene dedotta l'illegittimità, tra l'altro, per la mancata indicazione dell'interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione dell'opera.

Il Collegio, dichiarando espressamente di aderire all'orientamento secondo cui “la risalenza nel tempo dell'opera, di per sé, non incide sul potere di repressione dell'abuso da parte della P.A., sicché in sede di emissione dell'ordinanza di demolizione non si richiede alcuna specifica valutazione delle ragioni d'interesse pubblico (…)”, aggiunge tuttavia un'importante specificazione.

Ossia che “il passaggio del tempo eventualmente rilevante al fine di esigere una motivazione rafforzata, estesa all'interesse pubblico, va calcolato tutt'al più con riferimento al 2010, ossia all'epoca del sopralluogo effettuato dalla Polizia municipale, in occasione del quale venne effettivamente rilevata la realizzazione del manufatto”

Non sarebbe quindi il protrarsi negli anni della situazione abusiva ad ingenerare l'affidamento del privato che in buona fede la ignorava, quanto piuttosto il protrarsi dell'inerzia dell'Amministrazione, a seguito dell'accertamento dell'abuso, ad attivare il potere repressivo.

Solo al ricorrere di tale seconda eventualità, secondo la pronuncia in rassegna, potrebbe ritenersi sussistente un affidamento del privato, tutelabile a mezzo di un onere motivazionale aggravato in capo alla P.A., chiamata a dare conto dell'attualità e concretezza dell'interesse pubblico alla demolizione.

Nel caso di specie, il decorso di cinque anni dal momento in cui l'abuso è stato accertato a quello in cui è stata emanata l'ordinanza di demolizione non è, ad avviso del Collegio, sufficiente a far sorgere in capo al privato un affidamento tutelabile.
           
Tra l'opzione che dà rilevanza al tempo trascorso dall'abuso e quella che la nega, la presente sentenza sembra indicare una terza soluzione, in cui il decorso del tempo ha un rilievo, ma a partire dal momento in cui la situazione di illegalità viene cristallizzata (per la P.A. e per il privato) nel verbale di sopralluogo che accerta l'abuso.

La sentenza del Consiglio di Stato 30 giugno 2017, sezione VI, n. 3210, è disponibile al seguente link

Annullamento d'ufficio del titolo illegittimo: il termine dei 18 mesi rileva ai fini interpretativi anche se non applicabile retroattivamente

Con sentenza n. 3762 del 9 giugno 2016 la Sezione VI del Consiglio di Stato si pronuncia sui presupposti dell'annullamento in autotutela alla luce del limite temporale di 18 mesi introdotto dal Decreto Sblocca Italia del 2014.

Autotutela: anche la SCIA può essere annullata

Con sentenza n. 287 depositata il 12 maggio 2016, il TAR Abruzzo, L'Aquila, interviene in materia di SCIA confermando che il decorso del termine di 30 giorni di cui all'art. 19 l. n. 241/1990 non impedisce l'intervento in autotutela dell'amministrazione, a condizione che siano rispettati i presupposti indicati dall'art. 21 nonies della stessa legge.

Diritto di accesso: confronto tra la l. 241/90 e il D.Lgs. 33/2013

Infografica di confronto del diritto d'accesso tra la legge n. 241 del 1990 e il D.Lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal Decreto Legislativo 25 maggio 2016, n. 97 (FOIA italiano).

SCIA e DIA: la revisione sollecitata dal terzo non sconta i limiti ante riforma dell'art. 19, commi 3/4, l. 241/1990

Con sentenza n. 1038 del 12 ottobre 2015, il TAR Veneto, Sezione II, sottolinea la differenza di contenuti tra i poteri di annullamento di SCIA e DIA che l'art. 19 legge n. 241/1990 attribuisce all'A.C., e la revisione nell'ipotesi in cui sia un soggetto terzo a sollecitare l'azione dell'amministrazione.

Riforma Madia: le nuove regole del silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni

Il 28 agosto 2015 entra in vigore la legge 7 agosto 2015, n. 124 Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche. (15G00138) (GU n.187 del 13-8-2015).

L'articolo 3 modifica la legge n. 241/1990 introducendo l’art. 17 bis, intitolato ^Silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici^, il quale dispone:

S.C.I.A.: la conformità edilizia è presupposto di efficacia

Con sentenza n. 446 depositata il 18 giugno 2015, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia interviene in materia di segnalazione certificata di inizio attività, sottolineando che la conformità edilizia è il presupposto perché la S.C.I.A. esplichi i suoi effetti.

Legge 241/1990: preavviso di diniego e provvedimento finale

Con sentenza n. 3037 del 15 dicembre 2014, la sezione III del TAR Lombardia, Milano, si pronuncia sul rapporto tra la comunicazione portante preavviso di diniego e il provvedimento definitivo, specificando che tra i due non deve sussistere un rapporto di identità.
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