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L'acquisizione alla mano pubblica dell'abuso edilizio gravato da ipoteca

 La sentenza della Corte Costituzionale ha sicuramente una portata innovativa capace di ridisegnare l'intera disciplina dell'abusivismo edilizio. Essa lascia tuttavia senza risposta più di una domanda, circostanza che affaccia la possibilità di una moltiplicazione del contenzioso in materia, costringendo i giudici di merito ad individuare le strade da percorrere.


Commento a Corte Costituzionale 9 ottobre 2024, n. 160, di Cristina Guarisco


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Abusi edilizi: accertamento d'ufficio della possibilità della fiscalizzazione dell'abuso

 Con sentenza 9 novembre 2020, n. 764, il T.A.R. Liguria afferma che non è compito dell'Amministrazione accertare d'ufficio se l'opera abusiva sia sanabile o se vi siano i presupposti per sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria.  La decisione si pone nel solco di una giurisprudenza consolidata, che meriterebbe tuttavia una rimeditazione alla luce della sempre più diffusa volontà di incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente.


Commento a TAR Liguria, Genova, Sez. I, 9 novembre 2020, n. 764, a cura di Fabrizio Donegani.


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Istanza di sanatoria e ordinanza di demolizione

Qual'è la sorte dell'ordinanza di demolizione quando sia presentata domanda di sanatoria? Il T.A.R. Lombardia consolida il proprio orientamento secondo cui la circostanza produce l’effetto di rendere inefficace l’ordinanza di demolizione delle opere abusive e, quindi, improcedibile l’impugnazione della stessa per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione, ma la giurisprudenza appare fortemente divisa sul punto, compresa quella del Consiglio di Stato.  

Commento a T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, 22 aprile 2020, n. 671, di Lorenzo Spallino

Guida "Permessi Edilizi", Il Sole 24 Ore

E' in edicola la Guida 2019 ai Permessi Edilizi de Il Sole 24 Ore a cura di Cristina Colombo e Roberto Ragozzino.

All'interno il capitolo "Sanatorie edilizie e sanatorie paesaggistiche", dedicato all'accertamento di conformità e alla compatibilità paesaggistica, nonché ai rapporti tra le due procedure.

Il contributo è firmato da Lorenzo Spallino e Fabrizio Donegani.

Abusi edilizi e rilevanza del decorso del tempo: una "terza via"?

Con sentenza 30 giugno 2017, n. 3210, il Consiglio di Stato dichiara la legittimità di un'ordinanza di demolizione intervenuta a decenni di distanza dalla realizzazione dell'immobile abusivo, affermando l'irrilevanza del decorso del tempo dalla commissione dell'abuso nei confronti del potere repressivo della P.A., potendo al più rilevare (al fine di esigere dall'Amministrazione una motivazione aggravata del provvedimento) il tempo trascorso dall'accertamento dell'abuso alla notifica dell'ordinanza di demolizione.

Nel silenzio della legge (cfr. in particolare artt. 27 e 31 D.P.R. n. 380/2001), che nulla dice al riguardo, il decorso del tempo dalla realizzazione dell'abuso non sana né mitiga l'abusività dell'opera e non scalfisce in alcun modo il potere sanzionatorio riconosciuto alla P.A., espressione di un interesse pubblico al ripristino della legalità violata, che deve ritenersi legittimamente esercitabile anche a distanza di anni dalla costruzione del manufatto abusivo, fosse anche nella misura di alcuni decenni. 

Alla luce di ciò, giurisprudenza amministrativa tuttora maggioritaria ritiene che un'ordinanza di demolizione di manufatto realizzato in epoca risalente non necessiti di forme o motivazioni particolari, essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla rimozione dell'abuso, sicché il provvedimento può legittimamente limitarsi ad indicare l'opera e l'assenza di titolo abilitativo alla sua realizzazione per comminare la sanzione demolitoria (ex multis Cons. Stato, IV, 12 ottobre 2016, n. 4205; ib., VI, 10 settembre 2015, n. 4222).

Negli ultimi anni si è tuttavia fatto strada un orientamento che, nel caso di abusi risalenti nel tempo, su porzioni limitate dell'immobile, realizzati da soggetto diverso dall'attuale proprietario di buona fede, richiede, pur senza negare la natura vincolata del provvedimento repressivo e l'attualità dell'abuso, che l'ordinanza di demolizione sia motivata sotto lo specifico profilo della sussistenza dell'interesse pubblico alla messa in pristino dello stato dei luoghi.
In tali “casi limite” non sarebbe pertanto sufficiente la presa d'atto dell'abuso per giustificarne la demolizione, ma occorrerebbe dare atto della prevalenza, nella situazione specifica, di un interesse generale al ripristino rispetto al contrapposto interesse privato al mantenimento del manufatto, forte dell'affidamento ingenerato dal trascorrere del tempo senza alcuna contestazione sulla legittimità dell'opera e dalla buona fede dell'attuale proprietario, estraneo alla realizzazione dell'abuso (Cons. Stato, IV, 4 febbraio 2014 n. 1016; ib., V, 15 luglio 2013, n. 3847; ib., VI, 5 gennaio 2013, n. 13; ib., VI, 18 maggio 2015, n. 2512; TAR Calabria, sede di Catanzaro, I, 14 ottobre 2011, n. 1356, commentata a questo indirizzo).

Da ultimo, la sezione VI del Consiglio di Stato, preso atto dei due differenti orientamenti emersi e ritenendo sussistere un contrasto giurisprudenziale sul tema, ha rimesso la questione all'Adunanza Plenaria (Cons. Stato, VI, ord. 24 marzo 2017, n. 1337, citata in questo commento).

Sinteticamente esposti i termini del dibattito tuttora in atto, la pronuncia qui in esame si distingue per aver aggiunto un nuovo spunto di riflessione al tema.

La vicenda riguarda l'impugnazione di un'ordinanza di demolizione di una tettoia abusivamente realizzata negli anni Settanta dal precedente proprietario dell'immobile, di cui viene dedotta l'illegittimità, tra l'altro, per la mancata indicazione dell'interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione dell'opera.

Il Collegio, dichiarando espressamente di aderire all'orientamento secondo cui “la risalenza nel tempo dell'opera, di per sé, non incide sul potere di repressione dell'abuso da parte della P.A., sicché in sede di emissione dell'ordinanza di demolizione non si richiede alcuna specifica valutazione delle ragioni d'interesse pubblico (…)”, aggiunge tuttavia un'importante specificazione.

Ossia che “il passaggio del tempo eventualmente rilevante al fine di esigere una motivazione rafforzata, estesa all'interesse pubblico, va calcolato tutt'al più con riferimento al 2010, ossia all'epoca del sopralluogo effettuato dalla Polizia municipale, in occasione del quale venne effettivamente rilevata la realizzazione del manufatto”

Non sarebbe quindi il protrarsi negli anni della situazione abusiva ad ingenerare l'affidamento del privato che in buona fede la ignorava, quanto piuttosto il protrarsi dell'inerzia dell'Amministrazione, a seguito dell'accertamento dell'abuso, ad attivare il potere repressivo.

Solo al ricorrere di tale seconda eventualità, secondo la pronuncia in rassegna, potrebbe ritenersi sussistente un affidamento del privato, tutelabile a mezzo di un onere motivazionale aggravato in capo alla P.A., chiamata a dare conto dell'attualità e concretezza dell'interesse pubblico alla demolizione.

Nel caso di specie, il decorso di cinque anni dal momento in cui l'abuso è stato accertato a quello in cui è stata emanata l'ordinanza di demolizione non è, ad avviso del Collegio, sufficiente a far sorgere in capo al privato un affidamento tutelabile.
           
Tra l'opzione che dà rilevanza al tempo trascorso dall'abuso e quella che la nega, la presente sentenza sembra indicare una terza soluzione, in cui il decorso del tempo ha un rilievo, ma a partire dal momento in cui la situazione di illegalità viene cristallizzata (per la P.A. e per il privato) nel verbale di sopralluogo che accerta l'abuso.

La sentenza del Consiglio di Stato 30 giugno 2017, sezione VI, n. 3210, è disponibile al seguente link

Accertamento di conformità: il deposito dell'istanza non incide sull'ordinanza di demolizione

Con sentenza n. 1667/2017 il Consiglio di Stato conferma il definitivo mutamento di  indirizzo della giurisprudenza amministrativa in tema di effetti dell'istanza di accertamento di conformità (c.d. sanatoria edilizia) rispetto all'ordinanza di demolizione precedentemente assunta, affermando che la prima non pregiudica l'efficacia della seconda limitandosi a sospenderne gli effetti fino alla definizione, espressa o tacita, dell'istanza (id. Cons. Stato Sez. VI, 13/10/2015, n. 4701; Cons. Stato, sez. VI, 2 febbraio 2015, n. 466; T.A.R. Campania Napoli Sez. II, 04/01/2017, n. 96).

Parziali difformità: le violazioni entro il 2% sono irrilevanti

Il comma 2 ter dell'art. 34 del D.P.R.n. 380/2001 - a norma del quale "non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali" - non contiene una definizione normativa della parziale difformità, ma prevede una franchigia vera e propria. Il che a significare non che ogni violazione eccedente il 2% considerato costituisce difformità totale, ma al contrario che le violazioni contenute entro tale limite sono irrilevanti.

Demolizione del manufatto abusivo: sanzione amministrativa anche se comminata dal giudice penale

Con sentenza 10 marzo 2016, n. 9949, la terza sezione penale della Corte di Cassazione statuisce che la demolizione del manufatto abusivo, anche quando disposta dal giudice penale ai sensi dell'art. 31, co. 9, Testo Unico dell'Edilizia, ha natura di sanzione amministrativa con finalità ripristinatoria del bene giuridico leso (il territorio) e non punitiva/repressiva. L'ordine di demolizione non può quindi ritenersi una sanzione penale nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è quindi soggetta ad alcun termine prescrizionale.

Pergotende: per l'installazione non serve il permesso di costruire

Con sentenza n. 1619 del 27 aprile 2016 la Sezione VI del Consiglio di Stato ha stabilito che l'installazione di una tenda retrattile montata su una struttura fissa in alluminio anodizzato (cd. dette ^pergotende^) non costituisce intervento di nuova costruzione, né di ristrutturazione edilizia e, conseguentemente, non necessita di permesso di costruire.

Distanze: non si calcola con riferimento a manufatti abusivi

Con sentenza n. 3968 del 21 agosto 2015, la sezione IV del Consiglio di Stato, ritorna sul punto della rilevanza, o meno, dell'abusività di un manufatto ai fini delle distanze, rafforzando l'indirizzo secondo cui la presenza di un manufatto abusivo a distanza dall'erigendo fabbricato sul fondo del confinante non può assumere a elemento impeditivo al rilascio del titolo.

Abuso edilizio: il rilascio del n.o. paesaggistico postumo non vale a sanare l'intervento

Con sentenza breve n. 1405, depositata il 17 giugno 2015, il T.A.R. Milano, seconda sezione, interviene nel rapporto tra titolo edilizio e autorizzazione paesaggistica, per affermare che l'emanazione della seconda non vale a legittimare l'abuso edilizio.

Compatibilità paesaggistica: il parere tardivo della Soprintendenza perde la sua portata vincolante ma il Comune deve tenerne conto

Avv. Alice Galbiati
Con sentenza n. 2375 depositata il 18 settembre 2014, il T.A.R. Puglia Lecce si pronuncia in materia di accertamento della compatibilità paesaggistica in sanatoria ex artt. 167 e 181 D.Lgs. n. 42/2004, chiarendo le conseguenze giuridiche della mancata osservanza del termine perentorio nel rilascio del parere della Soprintendenza.

Condono paesistico: agisce in ambito penale ma non paralizza la sanzione amministrativa.

Avv. Lorenzo Spallino

Con sentenza n. 1508 depositata il 10 giugno 2014, la Sezione II del T.A.R. Lombardia, Milano, si pronuncia in materia di “condono paesistico” ex l. 308/2004, chiarendo come lo stesso produca effetti solo in ambito penale, non pregiudicando la sanzionabilità dell’abuso sotto il profilo amministrativo.


Consiglio di Stato: i manufatti non ancorati al suolo non sono "costruzioni"

Una serra costituita da intelaiatura metallica coperta in materiale plastico e una struttura metallica scoperta sono opere non definibili in termini di “costruzioni” ai sensi del D.P.R. 380/2001, art. 3, non solo e non tanto perché facilmente amovibili, ma anche perché non qualificabili come strutture edilizie.

In questo senso si è espresso il Consiglio di Stato, sezione VI, con sentenza n. 149 depositata il 16 gennaio 2014, intervenendo in secondo grado su una vicenda complessa dal punto di vista procedimentale, dove gli stessi giudici di Palazzo Spada avevano confermato la legittimità del diniego di sanatoria da parte dell'A.C.

Immobili abusivi: lista di priorità per le demolizioni d'ordine del giudice penale

Testo del DDL 580 Disposizioni in materia di criteri di priorità per l’esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi approvato dal Senato il 22 gennaio 2014. Il testo passa all'esame della Camera dei Deputati.
Art. 1. 1. Dopo l'articolo 44 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, è inserito il seguente:

Manufatti precari: a quali condizioni sono esenti da titolo edilizio

Jesus Cortinovis
Non richiedono licenza edilizia solo quei manufatti che, per la destinazione d'uso cui sono finalizzati oltre che per le loro particolari caratteristiche, possono considerarsi provvisori, di uso temporaneo e destinati alla rimozione dopo l'uso (es. baracca per l'impianto e la conduzione di cantiere edile, capannone eretto in un bosco per il ricovero temporaneo di attrezzi, ecc.).

Abusi edilizi: il condono non muta la destinazione urbanistica dell'area

Con sentenza n. 2454 del 7 novembre 2013 la sezione seconda del TAR Lombardia, Milano, precisa che il provvedimento di condono edilizio non muta la destinazione urbanistica dei fondi oggetto degli abusi edilizi.

Interventi eseguiti in parziale difformità: l'eccessiva onerosità non rileva al fine di evitare la demolizione

A norma dell'articolo 34 del T.U. dell'Edilizia, quando la demolizione degli interventi e delle opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire non può avvenire
senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.
L'espressione è mutuata dall'articolo 12 della L. 47/1985. La giurisprudenza non ha mai approfondito la nozione di pregiudizio della parte eseguita in conformità, così che è invalsa la prassi di considerare come tale anche la sproporzione tra il costo del ripristino rispetto al costo sostenuto per la realizzazione delle opere realizzate in conformità, ossia della eccessiva onerosità dell'intervento.

Sul punto interviene il Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 1912 del 9 aprile 2013, afferma che:
  • la norma deve essere interpretata nel senso che si applica la sanzione pecuniaria soltanto nel caso in cui sia oggettivamente impossibile procedere alla demolizione;
  • non possono, pertanto, venire in rilievo aspetti relativi alla “eccessiva onerosità” dell’intervento

D'altro canto, sottolinea il C.S.,
se si potessero prendere in esame anche questi profili si rischierebbe di trasformare l’istituto in esame in una sorta di “condono mascherato” con incidenza negativa grave sul complessivo assetto del territorio e in contrasto con la chiara determinazione del legislatore, che ha imposto che abbia luogo la demolizione parziale, tranne il caso in cui la relativa attività materiale incida sulla stabilità dell’intero edificio, e dunque anche nell’ipotesi in cui nella parte da demolire siano stati realizzati strumenti o impianti più o meno costosi.
 La sentenza 9 aprile 2013 n. 1912 della sezione sesta del Consiglio di Stato è disponibile sul sito della Giustizia Amministrativa a questo indirizzo.

Violazioni edilizie: limiti all'accesso agli atti e dovere di preavviso per i sopralluoghi.

In materia di accertamenti delle violazioni urbanistico edilizie, il Consiglio di Stato ha chiarito due aspetti fondamentali: il diniego dell'accesso agli atti è legittimo solo nel caso di atti assunti dalla Polizia Municipale in quanto atti di Polizia Giudiziaria e la non necessità di preavvisare il privato per l'esecuzione di sopralluoghi di accertamento.

Il primo aspetto esaminato dalla VI sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n. 547 del 27/11/2012, depositata il 29/01/2013, riguarda l'accesso agli atti nel caso in cui vi siano accertamenti della Polizia Municipale correlati ad attività edilizia.

In tal senso, i Giudici di Palazzo Spada hanno chiarito che il diniego, all'accesso agli atti, deve essere giustificato tenendo conto della tipologia degli atti, del soggetto che li ha assunti e dalla funzione svolta, dal medesimo soggetto, nel momento in cui ha assunto gli atti. In particolare, nel generale ambito degli atti finalizzati all'accertamento ed alla repressione delle violazioni edilizie vi sono atti che:
  1. sono stati delegati dall'Autorità Giudiziaria;
  2. coincidono con le notitiae criminis poste in essere dagli organi comunali nell’esercizio di funzioni di Polizia Giudiziaria ad essi specificamente attribuite dall'ordinamento; 
  3. consistono in indagini e accertamenti, non compiuti nell’esercizio di funzioni di Polizia Giudiziaria bensì nell'esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative di Polizia Municipale.

Mentre è legittimo negare l'accesso per le tipologie di atti di cui al punto a) e b), l’accesso agli atti non può essere limitato per le tipologie di atti rientranti al punto c). Al riguardo, i Giudici, hanno confermato e richiamato il principio secondo cui non ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica amministrazione all'Autorità Giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratta all'accesso, in quanto, se la denuncia è presentata dalla pubblica amministrazione nell'esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative, non si ricade nell'ambito di applicazione dell'art. 329, c.p.p. (obbligo del segreto); tuttavia se la pubblica amministrazione che trasmette, all'Autorità Giudiziaria, una notizia di reato non lo fa nell'esercizio della propria istituzionale attività amministrativa, ma nell'esercizio di funzioni di Polizia Giudiziaria specificamente attribuite dall'ordinamento, ci troviamo, in presenza di atti di indagine compiuti dalla Polizia Giudiziaria e che, come tali, soggetti al segreto istruttorio ai sensi dell'art. 329 c.p.p., oltreché, conseguentemente, ad essere sottratti all'accesso agli atti ai sensi dell'art. 24, della L. n. 241 del 1990 e ss.mm.ii.. In tal senso viene anche richiamata una precedente pronuncia del Consiglio Stato del 9 dicembre 2008, n. 6117, sempre della medesima sezione VI. Il secondo aspetto esaminato dai Giudici di Palazzo Spada, con la sentenza in commento, riguarda invece il dovere da parte dell'Ente locale di preavvisare il privato circa il sopralluogo di accertamento.

Nel caso in specie l’appellante sosteneva che l’accesso sui luoghi privati poteva aver luogo solo previo avviso di avvio di un procedimento sanzionatorio. In tal senso i Giudici d’appello precisano che, ai sensi dell’art. 27, comma 1, del testo unico sull’edilizia (approvato con il D.P.R. n. 380 del 2001), “il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente, la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi”.

Pertanto, il dirigente o il responsabile dell’ufficio può disporre anche ad horas, informalmente e “a sorpresa” l’accesso ai luoghi per verificare: se sussista un illecito edilizio (avente o meno rilevanza penale); se vada emesso un ordine di sospensione dei lavori o se vada avviato un procedimento per l’emanazione di un atto di ritiro di un precedente atto abilitativo, ed in tal senso solo in quest’ultimo caso è configurabile l’obbligo di trasmettere un formale avviso al privato come disciplinato dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990 e ss.mm.ii..

La sentenza del Cons. di Stato, sez. VI, n. 547 del 27/11/2012, depositata il 29/01/2013 è reperibile al seguente indirizzo web: http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Consiglio%20di%20Stato/Sezione%206/2012/201206816/Provvedimenti/201300547_11.XML

DIA e poteri di autotutela della p.a.

Con sentenza 3 settembre 2012 n. 1495 il T.A.R. Brescia si pronuncia in tema di DIA, ammettendo il potere di autotutela dell'ente pubblico sugli effetti della DIA anche una volta decorsi i 30 giorni assegnati all'amministrazione per la verifica dei presupposti e dei requisiti di legge della dichiarazione.

Nel caso di specie, dei privati presentano in Comune una DIA in sanatoria avente ad oggetto la realizzazione di una recinzione su un terreno di loro proprietà: decorsi trenta giorni dalla presentazione dell'istanza, senza alcun intervento da parte dell'amministrazione, si forma il silenzio-assenso sulla stessa. A distanza di molti anni dall'intervenuto silenzio-assenso, tuttavia, il terreno viene riconosciuto di proprietà comunale e l'amministrazione, conseguentemente, dichiara inefficace la DIA ed ordina la rimozione della recinzione, richiamandosi all'art. 35 D.P.R. 380/2001. I privati impugnarono questi provvedimenti perché ne fosse dichiarata l'illegittimità.

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