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Sanatoria paesaggistica e distanze ex art. 9 d.m. 1444/1968: la traslazione di volumi verso l'alto può non rilevare

La traslazione verso l’alto di volume esistente, se rileva come dato estetico, non costituisce ostacolo alla regolarizzazione ex art. 167 comma 4-a del Dlgs. 22 gennaio 2004 n. 42, qualora si accerti che la superficie e la volumetria utili non sono aumentate (o sono aumentate soltanto nella misura consentita dall’ampliamento).

Distanze in edilizia: il repertorio disponibile anche su Calaméo

La raccolta di giurisprudenza "Distanze in edilizia" è disponibile anche su Calaméo, a questo indirizzo.



Distanze in edilizia: repertorio di giurisprudenza

E' disponibile alla pagina http://www.studiospallino.it/materiali/distanze_edilizia.htm un repertorio giurisprudenziale in materia di regime delle distanze in edilizia, con particolare attenzione alla applicazione del d.m. 1444/1968, art. 9.

Distanze: le porte finestre non sono vedute e solo il proprietario frontista può contestare la violazione

Il Consiglio di Stato conferma che la regola del rispetto della distanza dei dieci metri, di cui all'art. 9 del D.M. n. 1444/1968, deve intendersi riferita unicamente a pareti frontistanti munite di finestre qualificabili come vedute e non a quelle in cui sono collocate aperture che a norma dell'art. 901 ss. c.c. danno passaggio alla luce e all'aria, ma non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino (cd. finestre lucifere).

Distanze: non si calcola con riferimento a manufatti abusivi

Con sentenza n. 3968 del 21 agosto 2015, la sezione IV del Consiglio di Stato, ritorna sul punto della rilevanza, o meno, dell'abusività di un manufatto ai fini delle distanze, rafforzando l'indirizzo secondo cui la presenza di un manufatto abusivo a distanza dall'erigendo fabbricato sul fondo del confinante non può assumere a elemento impeditivo al rilascio del titolo.

Distanze tra edifici: sono nulli gli accordi in deroga tra privati

Avv. Lorenzo Spallino
Con sentenza n. 964 del 27 maggio 2014 il Tribunale di Como interviene in tema di distanze tra fabbricati inferiori, per accordo delle parti, a quelle fissate "inderogabilmente" dalle NTA dello strumento urbanistico, evidenziando la nullità delle relative pattuizioni.
La sentenza non cita il disposto dell'art. 9 del d.m. 1444/1968: purtuttavia, si deve ritenere che l'inderogabilità della distanza fissata in 10 metri dallo strumenti urbanistico locale tragga la sua fonte dalla normativa nazionale, non potendovisi distaccare.

La decisione puntualizza anche che a nulla vale immaginare un corpo di collegamento tra gli edifici costituito da una tettoia o da un pergolato: un simile manufatto non contribuisce infatti "a trasformare due distinti fabbricati in un unico blocco".

La sentenza n. 964 del 27 maggio 2014 il Tribunale di Como è disponibile in formato pdf a questo indirizzo.

Distanze tra edifici: la Corte Costituzionale ribadisce l'inderogabilità dell'art. 9 D.M. 1444/1968

La Corte Costituzionale ribadisce, ove fosse necessario, che le disposizioni del D.M. 1444/1968 in materia di distanze contengono limiti precettivi e inderogabili per i legislatori regionali, che pertanto non posso fissare distanze diverse nel senso di meno restrittive.

Con legge 4 settembre 1979, n. 31 (B.u.r. 8 settembre 1979, n. 49) la Regione Marche introdusse, "per gli edifici aventi impianto edilizio preesistente, compresi nelle zone di completamento con destinazione residenziale previste dagli strumenti urbanistici generali comunali approvati", la possibilità di consentire "ampliamenti alle case a un piano fuori terra e alle costruzioni che, avuto riguardo alla struttura edilizia esistente e agli edificicircostanti, presentano evidenti caratteristiche di non completezza" (art. 1, comma 1).

Gli ampliamenti erano consentiti "anche in deroga alle distanze e/o al volume stabiliti per le suddette zone territoriali omogenee dal DM 2-4-1968, n. 1444, ferma restando la dotazione minima inderogabile per spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggio " (art. 1, comma 2).

La Corte di cassazione, sezione seconda civile - investita della domanda di accertamento della violazione delle distanze legali, rigettata in sede di primo e secondo grado, con la quale i ricorrenti presso la Corte di cassazione avevano chiesto la condanna della controparte ad arretrare e dunque a demolire l’ampliamento di un edificio realizzato da quest’ultima - con ordinanza depositata il 29 dicembre 2011 e iscritta al n. 177 del registro ordinanze 2012 della Corte Costituzionale, ha sollevato d’ufficio questione di legittimità costituzionale del secondo comma della disposizione, con riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione, ritenendo 
che tale normativa sia in contrasto con l’art. 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), che fissa una distanza minima tra gli edifici, commisurandola alla dimensione delle strade e consentendo tuttavia l’edificazione a distanze inferiori «nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche».
In linea di principio - afferma il Giudice delle Leggi - la disciplina delle distanze minime tra costruzioni rientra nella materia dell’ordinamento civile e, quindi, attiene alla competenza legislativa statale; alle Regioni è consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime stabilite nelle normative statali, solo a condizione che la deroga sia giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio.

Se da un lato non può quindi essere del tutto esclusa una competenza legislativa regionale relativa alle distanze tra gli edifici, dall’altro essa, interferendo con l’ordinamento civile, questa "è rigorosamente circoscritta dal suo scopo – il governo del territorio – che ne detta anche le modalità di esercizio", così che
la legislazione regionale che interviene in tale ambito è legittima solo in quanto persegue chiaramente finalità di carattere urbanistico, rimettendo l’operatività dei suoi precetti a «strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio» (sentenza n. 232 del 2005).
mentre
Le norme regionali che, disciplinando le distanze tra edifici, esulino da tali finalità, ricadono illegittimamente nella materia «ordinamento civile», riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Il punto di equilibrio tra le due competenze è fissato nell’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 ("Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche", che la Corte ha più volte ritenuto dotato di «efficacia precettiva e inderogabile, secondo un principio giurisprudenziale consolidato» (sentenza n. 114 del 2012; ordinanza n. 173 del 2011; sentenza n. 232 del 2005).

Quest’ultima disposizione consente che siano fissate distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale, solo «nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche».

Le deroghe all’ordinamento civile delle distanze tra edifici sono, dunque, consentite nei limiti ora indicati, se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio.

Va da sè, in conclusione, che la norma della Regione Marche infrange i principi sopra ricordati, in quanto 

  1. consente espressamente ai Comuni di derogare alle distanze minime fissate nel d.m. n. 1444 del 1968, senza rispettare le condizioni stabilite dall’art. 9, ultimo comma, del medesimo decreto ministeriale, che, come si è detto, esige che le deroghe siano inserite in appositi strumenti urbanistici, a garanzia dell’interesse pubblico relativo al governo del territorio;
  2. autorizza i Comuni ad «individuare gli edifici» dispensati dal rispetto delle distanze minime.
La deroga non risulta, dunque, ancorata all’esigenza di realizzare la conformazione omogenea dell’assetto urbanistico di una determinata zona, ma può riguardare singole costruzioni, anche individualmente considerate.

Da ciò, la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, della legge regionale Marche n. 31 del 1979 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, in quanto eccede la competenza regionale concorrente del «governo del territorio», violando il limite dell’«ordinamento civile», di competenza legislativa esclusiva dello Stato.


La sentenza 23 gennaio 2013, n. 6, della Corte Costituzionale è disponibile sul sito della Corte a questo indirizzo.

D.M. 1444/1968: la distanza pari all'altezza del fabbricato si applica solo nelle zone C

L'art. 9 del D.M. 1444/1968 stabilisce che
qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.
La compilazione del testo può trarre in inganno: la disposizione sembra infatti essere di chiusura dell'intero corpo dell'articolo 9 ("come sopra computate"), riferentesi pertanto tanto alle distanze imposte tra edifici collocati nella medesima zona omogenea (primo comma) quanto agli edifici tra i quali, indipendentemente dalla zona omogenea cui appartengono, corra viabilità pubblica.

Distanze ex art. 9 D.M. 1444/1968: valgono anche per le luci, non solo per le finestre

Con sentenza breve  n. 4374 depositata il 2 dicembre 2010, il TAR Piemonte, sezione prima, ha statuito che la disposizione contenuta nelle NTA del Comune di Almese (Torino), nella parte in cui prescrive che “non s’intenderanno come pareti finestrate quelle in cui siano praticate esclusivamente luci (art. 901 c.c.)”, è illegittima per violazione dell'art. 9, comma 1, del D.M 02.04.1968 n. 1444, il quale, correttamente interpretato nei termini esposti in sentenza, non consente di escludere dal concetto di “pareti finestrate” le ipotesi in cui nella parere siano presenti esclusivamente “luci”.

La sentenza consolida l'orientamento dello stesso TAR Piemonte espresso con la sentenza n. 2565 del 2008.

La decisione n. 4374/2010 é disponibile sul sito del TAR Piemonte a questo indirizzo.

Permesso di costruire e regime delle distanze: il Consiglio di Stato consolida il proprio orientamento

Con sentenza 2 novembre 2010, n. 7731, la sezione quarta del Consiglio di Stato ha ribadito la propria posizione circa l'applicazione del d.m. 1444/1968 (articolo 9) in materia di distanze, ulteriormente pronunciandosi anche in materia di altezze ex D.M. e di sottotetti.

L'elemento fattuale a fondamento della decisione dei giudici di Palazzo Spada era quello di un muro di contenimento dell'altezza di un metro e mezzo circa e della lunghezza di circa trenta metri, rispetto al piano di campagna, del quale si contestava la mancata considerazione ai fini delle distanze di un edificio confinante. Riconosciuta la natura di costruzione al muro in questione, il Consiglio di Stato ha dichiarato fondato il motivo di appello con il quale si lamentava "la violazione dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 e in ogni caso la violazione del limite delle distanze, perché l’assentimento sarebbe inferiore ai previsti metri dieci, calcolandolo dalle pareti finestrate di entrambi gli edifici". Fermo il principio generale, la decisione puntualizza che la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, prevista dall'art. 9, D.M. n. 1444 del 1968, va calcolata:
  • con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano;
  • a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela;
  • avendo riguardo a tutti gli elementi costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione.

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