I giudici di Palazzo Spada sono stati chiamati a vagliare l'annullamento d'ufficio di una D.I.A. disposto a distanza di quattro anni dal suo consolidamento e ne hanno dichiarato l'illegittimità anche alla luce della novità legislativa, pur non applicabile ratione temporis alla fattispecie.
Ricordando in via di principio che il riconoscimento di un errore tecnico tale da inficiare la validità del titolo avrebbe consentito all'Amministrazione di intervenire adottando un provvedimento inibitorio/ripristinatorio entro il termine di decadenza (30 giorni) previsto dall'art. 23, comma 6, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nel caso di specie il Collegio ha esaminato la problematica connessa alla verifica della sussistenza delle condizioni richieste dall'art. 21-nonies della l. n. 241/1990 per l'adozione del provvedimento repressivo d'ufficio adottato dopo la scadenza di detto termine.
Detto articolo, nella formulazione vigente al momento dell'adozione del provvedimento impugnato, consentiva l'intervento postumo di annullamento d'ufficio ricorrendone le ragioni di interesse pubblico e sempreché il provvedimento fosse disposto entro un termine ragionevole, tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Successivamente, il D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 2014, n. 164, ha modificato il testo introducendo il limite dei 180 giorni:
1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.Nel caso in esame, il Collegio evidenzia la carenza sia dell'esternazione delle ragioni di interesse pubblico (al di là del mero ripristino della legalità violata) che della valutazione motivata della posizione dei soggetti destinatari del titolo edilizio.
In particolare viene sottolineata l'importanza della tutela dell'affidamento del privato, che nel caso era particolarmente qualificata in ragione del lungo tempo trascorso dall'adozione della D.I.A. annullata (4 anni).
Prendendo spunto da quest'ultima considerazione, il Consiglio di Stato ricorda la novella legislativa del 2014 e lo sbarramento temporale posto con questa all'esercizio del potere di autotutela e pur riconoscendo l'inapplicabilità della previsione ratione temporis - implicitamente confermando l'irretroattività della novità normativa - il Collegio conferma l'orientamento già espresso in un proprio precedente di dicembre (Cons. Stato, Sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5625) e le attribuisce una vis che trascende il mero dato letterale ("rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti"), portandola a costituire parametro di riferimento, se non addirittura principio informatore, per tutte le fattispecie di annullamento d'ufficio, comprese quelle alla quali a stretto rigore la norma non sarebbe applicabile.
La pronuncia n. 3762 del 9 giugno 2016 della Sezione VI del Consiglio di Stato è disponibile sul sito della Giustizia Amministrativa a questo indirizzo.