Sicurezza statica degli edifici: è di competenza esclusiva dello Stato.

La Corte di Cassazione richiamando l'articolo 117, comma secondo, Cost., ha confermato che rientra nella competenza esclusiva dello Stato la disciplina edilizia antisismica e quella per le costruzioni in conglomerato cementizio armato che attiene la sicurezza statica degli edifici: la legislazione regionale resta invece applicabile con riferimento alla sola disciplina urbanistica.

L’esame delle Corte di Cassazione prende spunto dal ricorso avverso la sentenza del 18/10/2017 della Corte di appello di Messina ed in particolare dal terzo motivo di ricorso, con il quale si deduce la violazione di legge (art. 20 L.R. Sicilia n. 4/03 e 32, comma 2, d.P.R. n. 380/2001) relativamente alla condanna per ampliamenti abusivi, lamentando che la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto che le opere in questione non rivestono carattere di rimovibilità e che, pertanto, non si applica la disciplina regionale la quale prevede la non assoggettabilità né a concessione né ad autorizzazione delle suddette opere, deducendo che, in ogni caso, si tratterebbe di ambienti-volumi accessori di cui al comma 2 dell'art. 32 d.P.R. n. 380/2001.

A tale proposito va osservato che l'articolo 20 della L.R. Sicilia del 16 aprile 2003, n. 4, stabilisce che - in deroga ad ogni altra disposizione normativa - non sono soggette a concessione o autorizzazione né sono considerate aumento di superficie utile o di volume né modifica della sagoma della costruzione, la chiusura di terrazze di collegamento e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie, ferma restando l'acquisizione preventiva del nulla osta da parte della Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali nel caso di immobili soggetti a vincolo.

In tali casi, contestualmente all'inizio dei lavori, il proprietario dell'unità immobiliare deve limitarsi a presentare al Sindaco una relazione a firma di un professionista alla progettazione, che asseveri le opere da compiersi ed il rispetto delle norme di sicurezza e delle norme urbanistiche, nonché di quelle igienico-sanitarie vigenti ed a versare a favore del Comune un determinato importo per ogni metro quadro di superficie sottoposta a chiusura con struttura precaria.

Tali disposizioni sono applicabili anche alla chiusura di verande o balconi con strutture precarie, come previsto dall'articolo 9 della L.R. datata 10 agosto 1985, n. 37.

Ai fini dell'applicazione delle richiamate disposizioni il medesimo articolo precisa, al comma 4, che sono da considerare strutture precarie tutte quelle realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione, mentre si definiscono verande tutte le chiusure o strutture precarie come sopra realizzate, relative a qualunque superficie esistente su balconi, terrazze e anche tra fabbricati. Alle verande sono assimilate le altre strutture, aperte almeno da un lato, quali tettoie, pensiline, gazebo ed altre ancora, comunque denominate, la cui chiusura sia realizzata con strutture precarie, sempreché ricadenti su aree private.

Dei rapporti tra disciplina regionale e la normativa statale, contenuta nel d.P.R. 380/2001, si è ripetutamente occupata la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale ha avuto modo di chiarire che, in ogni caso, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali fissati dalla legislazione nazionale e, conseguentemente, devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi (Sez. 3, n. 28560 del 26/3/2014, Alonzo, Rv. 259938; Sez. 3, n. 2017 del 25/10/2007 (dep. 2008), Giangrasso, Rv. 238555; Sez. 3, n. 33039 del 15/6/2006, RM. in proc. Moltisanti, Rv. 234935. Conf., ma con riferimento ad altre disposizioni normative della Regione siciliana, Sez. 3, n. 4861 del 9/12/2004 (dep. 2005), Garufi, Rv. 230914; Sez. 3, n. 6814 del 11/1/2002, Castiglia V, Rv. 221427).

Ciò posto, con specifico riferimento alla individuazione, ad opera della L. R. n. 4/2003, di opere precarie, non soggette a permesso di costruire, la Corte di Cassazione ha già avuto modo di osservare come il legislatore regionale abbia altresì privilegiato il «criterio strutturale», considerando la circostanza che le parti di cui la costruzione si compone siano facilmente rimovibili, in luogo di quello «funzionale», relativo all'uso realmente precario e temporaneo cui la costruzione è destinata e che dette disposizioni non possono trovare applicazione al di fuori dei casi in esse espressamente previsti (Sez. 3, n. 48005 del 17/9/2014, Gulizzi e altro, Rv. 261156; Sez. 3, n. 16492 del 16/3/2010, Pennisi, Rv. 246771; Sez. 3, n. 35011 del 26/4/2007, Camarda, Rv. 237533).

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione, è tornata ad evidenziare che la legislazione regionale è applicabile con riferimento alla sola disciplina urbanistica, restando, pertanto, sottratta quella relativa alla disciplina edilizia antisismica e quella per le costruzioni in conglomerato cementizio armato, le quali attengono alla sicurezza statica degli edifici, rientrando questa nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, Cost., con la conseguenza che dette opere continuano ad essere soggette ai controlli preventivi previsti dalla legislazione nazionale (Sez. 3, n. 37375 del 20/6/2013, P.M. in proc. Serpicelli, Rv. 257594; Sez. 3, n. 16182 del 28/2/2013, Crisafulli ed altro, Rv. 255254; Sez. 3, n. 38405 del 9/7/2008, Di Benedetto e altro, Rv. 241287). In tal senso, non coglie neppure nel segno la deduzione che invoca l'applicazione dell'art. 32, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, risultando evidente che l'opera in esame non può configurarsi come volume tecnico.

A tale proposito va infatti ricordato che sono da considerarsi "volumi tecnici", (la cui realizzazione in difetto del permesso di costruire non integra la contravvenzione di cui all'art. 44 d.P.R. n. 380/2001) quei volumi strettamente necessari a contenere e consentire la sistemazione di impianti tecnici, aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzo della costruzione alla quale si connettono, alla duplice condizione negativa che tali impianti non possano trovare ubicazione, per evidenti ragioni di funzionalità, entro il corpo dell'edificio asservito e che non vi sia sproporzione, in termini di ingombro, tra tali volumi e le esigenze effettivamente sussistenti (Sez.3, n.22255 del 28/04/2016, Rv.267289; Sez.3, n.14281 del 04/02/2016, Rv.266394).

La sentenza della Corte di Cassazione, Penale, Sez. III, 10 aprile 2019 n. 15746, è disponibile su SentenzeWeb a questo indirizzo.

VAS: le Regioni non possono limitare il campo di applicazione della normativa nazionale

La Corte Costituzionale interviene in materia ambientale specificando le modalità con cui le Regioni possono legiferare a proposito di valutazione ambientale strategica (VAS) e strumentazione urbanistica.

Con sentenza 16 maggio 2019, n. 118, la Corte ha chiarito che le Regioni, non avendo competenza in materia urbanistica, non possono introdurre una disciplina in tema di valutazione ambientale della strumentazione urbanistica diversa da quella prevista dall'art. 6, co. 2 lett a), codice dell'ambiente quando ciò comporti una minor garanzia dell'interesse ambientale.

Le Regioni,siano esse ordinarie o a statuto speciale, non possono pertanto introdurre modifiche alla propria disciplina urbanistica se questa è in contrasto con il codice dell'ambiente, in quanto tale materia è di esclusiva competenza statale ex art. 117, co. 2 lett. s), Cost.

Nello specifico, le Regioni non possono escludere automaticamente la VAS - né tantomeno la verifica di assoggettabilità a VAS - ai piani urbanistici di dettaglio che non determinino modifiche non costituenti varianti al Piano Regolatore Generale.

Nè le Regioni hanno il potere di individuare, in via generale ed astratta, quali siano le fattispecie modificative non sostanziali al PRG che non devono essere sottoposte a verifica di assoggettabilità a VAS.

Nel caso in esame la Regione Valle d’Aosta aveva escluso - con le modifiche agli artt. 12-bis co.4, 16 co.1, 52 co.2, della l. reg. n. 11/1998 - la assoggettabilità a VAS di varianti non sostanziali al PRG, in contrasto con l'art. 6, co. 2, lett. a), e co. 3, cod. ambiente.

La Corte Costituzionale ha inoltre voluto puntualizzare in materia edilizia - materia concorrente fra Stato e Regioni - che le Regioni hanno il potere di stabilire con precisione quali interventi sono consentiti nei centri storici in assenza degli strumenti attuativi del PRG, purché si tratti di 
limitati interventi alla riqualificazione e rivitalizzazione delle aree territoriali, già edificate e provviste di opere di urbanizzazione
e purché tali interventi siano, in linea di principio, conformi all’art. 9, co. 2, Testo Unico dell’Edilizia la cui finalità è quella di
salvaguardare la funzione di pianificazione urbanistica nel suo complesso, evitando, […], che siano realizzati interventi incoerenti con gli strumenti urbanistici generali e tali da compromettere l’ordinato uso del territorio (Corte cost. 68/2018).
La sentenza 16 maggio 2019 n. 118 della Corte costituzionale è disponibile a questo indirizzo.
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