Con sentenza 21 novembre 2011 n. 309, la Corte Costituzionale dichiarò l'incostituzionalità:
- dell’art. 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), nella parte in cui escludeva l’applicabilità del limite della sagoma alle ristrutturazioni edilizie mediante demolizione e ricostruzione; dell’art. 103 della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, nella parte in cui disapplica l’art. 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) (testo A);
- dell’art. 22 della legge della Regione Lombardia 5 febbraio 2010, n. 7 (Interventi normativi per l’attuazione della programmazione regionale e di modifica ed integrazione di disposizioni legislative – Collegato ordinamentale 2010);
confermando la fondatezza della eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dal TAR Lombardia con l'ordinanza n. 5122 del 7.9.2010, ossia che non c'é spazio per una definizione di ristrutturazione edilizia diversa da quella indicata dal legislatore nazionale nell'articolo 3 del DPR 380/2011 (link)
Al fine dichiarato di tutelare il legittimo affidamento dei soggetti interessati, nel 2012 la Regione Lombardia intervenne sulla legge n. 12 del 2005 disponendo la salvezza dei permessi di costruire rilasciati alla data del 30 novembre 2011 nonché le denunce di inizio attività esecutive alla medesima data (Art. 17. "Disciplina dei titoli edilizi di cui all'articolo 27, comma 1, lettera d), della l. r. 12/2005 a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 309/2011", L.R. 8 aprile 2012, n. 7, Misure per la crescita, lo sviluppo e l'occupazione) (link).
Adito dalla proprietaria di un immobile, sito nel territorio del Comune di Paderno Dugnano, confinante con un’area nella quale il Comune ebbe ad autorizzare, con permesso di costruire, un intervento di ristrutturazione mediante demolizione dell’edificio esistente e ricostruzione con sagoma diversa., con ordinanza del 5 novembre 2015 il T.A.R. Lombardia sollevò la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, della L.R. 7/2012, in riferimento al Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 30 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69.
I giudici costituzionali hanno condiviso la fondatezza della questione di illegittimità costituzionale della normativa lombarda sottolineando:
- che la Corte ha già stigmatizzato (ex plurimis, sentenza n. 169 del 2015) le disposizioni con cui il legislatore, statale o regionale, interviene per mitigare gli effetti di una pronuncia di illegittimità costituzionale, per conservare o ripristinare, in tutto o in parte, gli effetti della norma dichiarata illegittima;
- tale è il caso della disposizione impugnata, emanata al dichiarato «fine di tutelare il legittimo affidamento dei soggetti interessati» in relazione agli «interventi di ristrutturazione edilizia oggetto della sentenza n. 309 del 2011»;
- essa, come risulta esplicitamente dal suo tenore letterale, mira a convalidare e a confermare nell’efficacia gli atti amministrativi emessi in diretta applicazione della precedente normativa regionale, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla citata pronuncia di questa Corte, i cui effetti la disposizione regionale vorrebbe parzialmente neutralizzare;
- a nulla rilevano, ovviamente, i mutamenti successivamente intervenuti nella legislazione statale, che hanno rimosso il divieto di alterazione della sagoma nelle ristrutturazioni edilizie, su cui si fondavano le dichiarazioni di illegittimità costituzionale contenute nella sentenza n. 309 del 2011: come già precedentemente osservato, la questione e la norma che ne costituisce oggetto concernono situazioni anteriori a tale innovazione della legislazione statale e non sono da essa interessate.
Per questi motivi la disposizione impugnata è stata ritenuta costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 136 Cost., mentre resta assorbito ogni altro motivo di censura.
La sentenza 20 ottobre 2016 n. 224 della Corte Costituzionale è disponibile sul sito della Corte.