Medie strutture di vendita: direttiva Bolkestein e pianificazione urbanistica

Con sentenza n. 110/2016 il TAR Emilia Romagna, Parma, cerca di porre un freno alla tendenza ad una lettura della direttiva Bolkestein che legga il principio di libertà di stabilimento come assoluto, anche con riferimento alla pianificazione urbanistica.


Ai sensi del Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 114  “Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’art. 4, comma 4, della Legge 15 marzo 1997 n. 59”, le attività commerciali sono suddivise in:

  • esercizi di vicinato: esercizi aventi superficie di vendita non superiore a 150 mq nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 250 mq nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti. 
  • medie strutture di vendita: esercizi aventi superficie superiore a 150 e fino a 1.500 mq nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti, superiore a 250 e fino a 2.500 mq nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti. 
  • grandi strutture di vendita: esercizi aventi superficie superiore a 1.500 mq nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 2.500 mq nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti. 
  • centro commerciale: una media o una grande struttura di vendita nella quale più esercizi commerciali sono inseriti in una struttura a destinazione specifica e usufruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio unitariamente. Per superficie di vendita di un centro commerciale s’intende quella risultante dalla somma delle superfici di vendita degli esercizi al dettaglio in esso presenti.

A fronte di un'istanza volta ad ottenere il rilascio di autorizzazione all'apertura di una struttura di vendita medio grande, in Parma, il Comune aveva eccepito che gli usi alimentari non sarebbero stati ricompresi tra quelli previsti come insediabili nei comparti d'interesse.

Nei confronti del diniego era stata opposta, tra le altre, la violazione dell'art. 3 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella L.14 settembre 2011, n. 148, vero che la disposizione avrebbe reso ormai libera - in tutto il territorio nazionale - l'apertura di qualsivoglia struttura di vendita, con conseguente illegittimità delle difformi disposizioni della pianificazione comunale e provinciale.

Secondo quanto sostenuto dall'istante, il Comune di Parma avrebbe contravvenuto, con l'adozione dell'impugnata normativa edilizia - pianificatoria, alle disposizioni previste dalla legislazione europea (direttiva CE 12 dicembre 2006, n. 123, nonché dalle disposizioni attuative in Italia inerenti al principio europeo di libertà di stabilimento), in tema di liberalizzazioni precludendo, da un lato, alla P. - S.r.l. di poter intraprendere l'esercizio di tale attività commerciale e, ponendo, dall'altro, un'ingiustificata limitazione alla libertà di iniziativa economica privata (art. 41 cost).

A questo l'A.C. opponeva che la normativa europea ha sì sostanzialmente liberalizzato il settore delle attività commerciali ma che la stessa legislazione non può certamente essere intesa in senso radicale ossia di precludere agli enti locali le facoltà di porre, comunque, dei limiti per la salvaguardia degli interessi generali, e che in tal senso si era mossa l'A.C. in sede pianificatoria, adottando un Scheda norma C5/SPIP elaborata sulla scorta, da un lato, delle specifiche caratteristiche dell'area e, dall'altro, valorizzando la penetrazione delle strutture peraltro già presenti nel medesimo comparto, quali, tra l'altro, un inceneritore di non trascurabile portata.

Il TAR Parma, rigettando il ricorso, ha affermato
che la tesi dell'assolutezza del principio di libertà di stabilimento, prospettata dalla ricorrente appare, in realtà, sovrabbondante, non potendosi sostenere che le norme liberalizzarci, invocate dalla stessa difesa società P., possano perfino arrivare a travolgere in toto il potere di pianificazione urbanistica degli insediamenti, in capo all'autorità comunale.
Vero è che il settore dei servizi privati, nell'ambito del quale rientra il commercio, è stato oggetto della direttiva comunitaria n. 123/2006 ("Bolkestein"), recepita dal d.lgs. n. 59 del 2010, volta alla riduzione dei vincoli procedimentali e sostanziali gravanti sugli stessi al fine di favorire la creazione nei vari Stati membri di un regime comune attuativo dei principi di libertà di stabilimento e libera prestazione.

Vero è, altresì, che con il D.L. n. 223 del 2006 il legislatore ha definitivamente sancito il divieto (valevole anche per le Regioni) di sottoporre l'apertura di nuovi esercizi commerciali (ivi comprese medie e grandi strutture) a limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale.

Tuttavia, i numerosi provvedimenti di liberalizzazione successivamente adottati sono caratterizzati dalla distinzione fra atti di programmazione economica - che in linea di principio non possono più essere fonte di limitazioni all'insediamento di nuove attività - e atti di programmazione, aventi natura non economica, i quali, invece, nel rispetto del principio di proporzionalità, possono imporre limiti rispondenti ad esigenze annoverabili fra i motivi imperativi di interesse generale (art. 11, comma 1, lett. e) del d.lgs. n. 59 del 2010, art. 34, comma 3, lett. a) del d.lgs. 201/2011).

Il che a dire che gli atti di programmazione territoriale non vanno esenti dalle verifiche prescritte dalla direttiva servizi per il solo fatto di essere adottati nell'esercizio del potere di pianificazione urbanistica, dovendosi verificare se, in concreto, essi perseguano finalità di tutela dell'ambiente urbano o, comunque, riconducibili all'obiettivo di dare ordine e razionalità all'assetto del territorio, oppure perseguano la regolazione autoritativa dell'offerta sul mercato dei servizi attraverso restrizioni territoriali alla libertà di insediamento delle imprese (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 10 ottobre 2013, n. 2271).

Nel caso di specie, con riferimento ai vincoli posti dagli strumenti urbanistici del Comune di Parma, il Collegio osserva che il divieto di insediamento di strutture di vendita medio-grandi "alimentari" nell'Area Scheda Norma C5/SPIP risponde ad evidenti esigenze di ordine urbanistico.

Emerge dagli atti che l'istruttoria relativa all'area in discorso non ha affatto riguardato aspetti quali la sufficienza e adeguatezza della rete distributiva alimentare e non alimentare a soddisfare la domanda, ma si è soffermata, viceversa, sui problemi relativi all'assetto del territorio urbano, alla dotazione di parcheggi pertinenziali e di aree per il carico e scarico merci, agli standard urbanistici, all'accessibilità, all'impatto sul sistema viario, in definitiva al carico urbanistico.

Anche alla luce dei chiarimenti forniti in giudizio dall'A.C.
i limiti fissati dal Comune di Parma all'insediamento di strutture medio-grandialimentari nell'area commerciale integrata per cui è causa, essendo il frutto di valutazioni relative non ad interessi di natura economica, bensì a profili strettamente ambientali e urbanistici, non possono [...] ritenersi incompatibili con i principi in materia di liberalizzazione del mercato dei servizi sanciti dalla direttiva 123/2006/CE e dai provvedimenti legislativi che vi hanno dato attuazione
Da qui il rigetto del ricorso.

La sentenza 17 marzo 2016 n. 110 del TAR Emilia Romagna, Parma, è disponibile su Giustizia Amministrativa a questo indirizzo.
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