Ai fini dell'attribuzione del carattere di demanialità comunale ad una via privata è necessario che unitamente alla destinazione ad uso pubblico della stessa concorra l'intervenuto acquisto, da parte dell'ente locale, della proprietà del relativo suolo.
Acquisto che può avvenire: per effetto di contratto con i privati, in conseguenza di un procedimento di esproprio, per effetto di usucapione.
La sentenza in commento si concentra su quest'ultima ipotesi, delineandone i contorni.
Preliminarmente, il Collegio ricorda come al risultato dell'acquisizione al demanio stradale di porzioni di terreno private utilizzate ad uso pubblico ininterrottamente da oltre vent'anni si possa pervenire per tramite dell'art. 31, co. 21, della Legge n. 448/1998. Tale previsione, tuttavia, richiede il consenso dei proprietari del terreno, assente nel caso di specie.
Ciò posto, occorre verificare la presenza dei presupposti per l'usucapione c.d. pubblica, che, seppur strutturalmente coincidente con l'ordinaria usucapione civilistica, da essa differisce per la natura pubblica del soggetto usucapente.
Il T.A.R. ricorda dunque che l'usucapione avviene quando il soggetto pubblico, mediante gli organi del suo apparato amministrativo, esercita continuativamente il possesso ad usucapionem del bene per tutta la durata necessaria.
In particolare, l'usucapione a favore di un soggetto pubblico territoriale quale il Comune, può configurarsi anche quando il possesso ad usucapionem non sia esercitato direttamente dall'ente, bensì da una indifferenziata comunità di persone alla quale sia riconducibile tanto il corpus (la signoria di fatto sul bene) quanto l'animus possidendi (l'intenzione di esercitare uti cives sul bene un potere corrispondente a quello del proprietario o di titolare di un ius in re aliena).
E' inoltre necessario, continua il Collegio, che l'usucapione sia funzionale al soddisfacimento di un pubblico interesse.
In altre parole, l'usucapione pubblica presuppone:
- l'idoneità del bene all'uso pubblico;
- la rispondenza dell'uso a una utilità pubblica e non al soddisfacimento dell'interesse privato di alcuni singolo;
- l'esercizio della signoria sul bene, corrispondente ad un diritto reale di godimento, da parte dell'ente o di una collettività di persone agenti uti cives e non uti singuli;
- il disconoscimento, anche implicito di ogni contrario diritto del proprietario;
- la non riscontrabilità nel proprietario di un atteggiamento di mera tolleranza;
- la continuità nell'esercizio dell'uso per la durata stabilita dal Codice Civile ai fini dell'usucapione.
Diversi i requisiti per l'usucapione di una servitù di uso pubblico su beni privati, nel qual caso sarebbero infatti sufficienti i c.d. uso ab immemorabili (uso pubblico risalente nel tempo) e dicatio ad patriam (tolleranza o espliciti atti di assegnazione del bene).
Nel caso di specie, il Collegio non riconosce nel provvedimento comunale impugnato la sussistenza della prova in ordine ai presupposti per l'usucapione della proprietà e accoglie il ricorso della proprietaria di una porzione di strada.
Tale decisione, sottolinea da ultimo il Giudice, non pregiudica il potere dell'amministrazione di pronunciarsi nuovamente sella sussistenza dell'usucapione a proprio favore, documentandone adeguatamente i presupposti.
La pronuncia n. 52 del 1 febbraio 2016 della Sezione I del T.A.R. Marche è disponibile sul sito della Giustizia Amministrativa a questo indirizzo.