Con sentenza 23 maggio 2017, n. 329, il T.A.R. del Lazio, sezione di Latina, interviene in tema di vincolo cimiteriale, affermando che la fascia di rispetto prevista dall'art. 338 del R.D. n. 1265/1934 deve essere osservata non solo nei confronti del centro abitato (come letteralmente previsto dalla norma), ossia di aggregati di abitazioni, ma anche nei confronti di singole abitazioni, in coerenza con la ratio della norma, che è quella di tutelare la salute delle persone insediate in prossimità di cimiteri.
La questione portata all'esame del T.A.R. di Latina riguarda il progetto di ampliamento del cimitero comunale, che avrebbe avvicinato l'area cimiteriale a circa 28 m. di distanza dall'abitazione della ricorrente.
Da un lato, quindi, la ricorrente deduce:
- che l'art. 338 del R.D. n. 1265/1934 impone per i cimiteri la distanza minima di 200 m. dai centri abitati, salva la possibilità che il Consiglio comunale approvi la costruzione di nuovi cimiteri o l'ampliamento di quelli già esistenti ad una distanza inferiore a 200 m. dal centro abitato, purché non oltre il limite di 50 m.;
- che il cimitero esistente si trova già a distanza inferiore di 50 m. dalla sua abitazione e che il previsto ampliamento ridurrebbe ancora di più tale distanza;
- che i limiti di cui all'art. 338 sono posti a tutela di esigenze igienico-sanitarie e sono perciò inderogabili.
Il Comune, dal canto suo, replica che:
- l'art. 338 prevede che le distanze devono essere rispettate in relazione ai “centri abitati”;
- nel caso di specie non si è in presenza di un centro abitato, bensì di “case sparse”, ossia non rientranti nel centro abitato;
- le limitazioni all'edificazione all'interno della fascia di rispetto si riferiscono alla sola edificazione privata;
- il fatto che l'edificio della ricorrente rientri nella perimetrazione del “centro abitato” effettuata ai fini dell'applicazione del Codice della strada non rileva ai fini del rispetto della fascia di rispetto cimiteriale.
Il T.A.R. adito, riconosciuto che “la principale questione giuridica da risolvere consiste quindi nello stabilire cosa debba intendersi per 'centro abitato' ai fini dell'articolo 338”, affronta il problema nei seguenti termini:
- in primo luogo, rilevando che nell'ordinamento non esiste una generale definizione di “centro abitato” e che la definizione contenuta nel Codice della strada (art. 3, n. 8) vale solo ai fini dell'applicazione delle disposizioni di quest'ultimo;
- in secondo luogo, constatando che all'interno del Testo unico delle leggi sanitarie si fa uso di varie espressioni per indicare le abitazioni o gli agglomerati di abitazioni al fine di prevedere distanze minime da attività o infrastrutture nocive per la salute e l'igiene (distanza dalle “abitazioni” per le “lavorazioni insalubri”, art. 216; distanza “dagli aggregati e abitazioni e dalle case sparse” per le coltivazioni di riso, art. 205);
- in terzo luogo, rilevando che le disposizioni di cui agli artt. 205, 216 e 338 hanno una matrice unitaria, dato che in primo luogo tutelano igiene e salute pubblica;
- in quarto luogo deducendo che, muovendo dal predetto presupposto, “appare chiaro che l'uso delle espressioni 'centro abitato', 'abitazioni', 'aggregati', 'case sparse' non ha carattere tecnico ma risponde semplicemente alla esigenza di designare, in coerenza con la ratio delle disposizioni citate, che è quella di proteggere la salute delle persone insediate, qualsiasi abitazione o aggregazione di abitazioni”.
Di qui la conclusione (conforme a T.A.R. Umbria, 25 giugno 2012, n. 248) per cui “la distanza di 200 metri o di 50 metri deve essere osservata non solo nei confronti di aggregati di abitazioni ma anche di singole abitazioni”, con conseguente accoglimento del ricorso, vero che se scopo della norma è tutelare la salute delle persone, non v'è ragione per distinguere tra gruppi di case e case singole.
Infine, osserva il Collegio, se si dovesse ritenere che la disposizione dell'articolo 338 debba riferirsi alle sole aggregazioni di case, la conseguenza sarebbe di consentire in modo pressoché generalizzato la riduzione della fascia di rispetto, dal momento che è difficilmente ipotizzabile l'esistenza di aggregazioni di case all'interno della fascia di rispetto: la previsione di una fascia di rispetto di 200 m. comporta di fatto che all'interno di essa possa esistere soltanto un'edificazione di carattere residuale, che il più delle volte si risolverà in “case sparse”, che meritano comunque, per le ragioni anzidette, la stessa tutela degli aggregati di abitazioni.
Il testo integrale della sentenza 23 maggio 2017, n. 329, del T.A.R. Lazio, Latina, è disponibile sul sito della Giustizia Amministrativa a questo link.