TAR Lombardia: il punto sulle strade vicinali

Con sentenza n. 516 dell'11 marzo 2016, il TAR Lombardia, sezione II, interviene in tema di presupposti per la classificazione, o meno, di strada gravata da servitù di pubblico passaggio, ricostruendo l'istituto con ampi rinvii alla giurisprudenza amministrativa e civile di riferimento. 


La decisione ha per oggetto un provvedimento sindacale volto a ordinare al destinatario di astenersi da qualsiasi comportamento che possa recare ostacolo o comunque modificare l’originaria possibilità di pubblico transito lungo il tratto di strada vicinale in oggetto.

Le statuizioni in diritto possono così riassumersi:

  • nelle controversie in questione sussiste la giurisdizione del TAR, "atteso che il giudice amministrativo può conoscere in via incidentale di diritti soggettivi quando tale sindacato è necessario per accertare la legittimità di un provvedimento amministrativo", come era nella fattispecie;
  • nè, sempre nella fattispecie, possono essere individuati specifici controinteressati, così che nessuna notifica ulteriore è necessaria, vero che tale qualità va riconosciuta non già a chi abbia un interesse, anche legittimo, a mantenere in vita il provvedimento impugnato e tanto meno a chi ne subisca conseguenze soltanto indirette o riflesse, ma solo a chi dal provvedimento medesimo riceva un vantaggio diretto e immediato, ossia un positivo ampliamento della propria sfera giuridica;
  • affinché il diritto di uso pubblico della strada possa ritenersi sussistente occorre che il bene privato sia idoneo ed effettivamente destinato al servizio di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato;
  • caratteristiche indispensabili di questo diritto sono:
    1. il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae, da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale; 
    2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via; 
    3. un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile. 

Non è dunque sufficiente che l’utilizzo della strada avvenga in favore di proprietari di fondi vicini.

Vero è infatti che la destinazione delle strade vicinali “ad uso pubblico”, imposta dal codice della strada di cui al d.lgs. n. 285/1992 (art. 3, comma 1, n. 52) fa sì che queste debbano necessariamente interessate da un transito generalizzato, tale per cui, a fronte della proprietà privata del sedime stradale e dei relativi accessori e pertinenze (spettante ai proprietari dei fondi latistanti), l’ente pubblico comunale possa vantare su di essa, ai sensi dell’art. 825 cod. civ., un diritto reale di transito, con correlativo dovere di concorrere alle spese di manutenzione della stessa (pro quota rispetto al consorzio privato di gestione ai sensi dell’art. 3 D.lgs.lgt. n. 1446/1918, “Facoltà agli utenti delle strade vicinali di costituirsi in Consorzio per la manutenzione e la ricostruzione di esse”), onde garantire la sicurezza della circolazione che su di essa si realizza (così Consiglio di Stato, V, 19 aprile 2013, n. 2218).

Vaghe dichiarazioni dei cittadini e il ricorso alla documentazione ricavabile dal sistema cartografico regionale non possono essere utili al fine di dirsi provato con certezza l’uso pubblico della strada e nemmeno l’esistenza stessa di un tratto viario idoneo a consentire il passaggio di automezzi.

Numerosa la pertinente giurisprudenza citata in motivazione della decisione.

La sentenza 11 marzo 2016 n. 516 del TAR Lombardia, sezione II, è disponibile sul sito della Giustizia amministrativa a questo indirizzo.
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