PGT: l'inosservanza dei termini per l'approvazione non determina l'inefficacia dell'intero procedimento

Con sentenza 24 aprile 2015 n. 1032, il TAR Lombardia, Milano, sez. II, conferma l'orientamento secondo cui l'inosservanza dei termini per l'approvazione del Piano di Governo del Territorio non può determinare la caducazione dell'intero procedimento (più recentemente, v. anche Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia  sezione staccata di Brescia, sez. I, 9.1.2017 n. 29).


Dispone l'articolo 13, comma 7, della L.R. Lombardia n. 12 del 2005:
Entro novanta giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni, a pena di inefficacia degli atti assunti, il Consiglio comunale decide sulle stesse, apportando agli atti di PGT le modificazioni conseguenti all’eventuale accoglimento delle osservazioni. Contestualmente, a pena d’inefficacia degli atti assunti, provvede all’adeguamento del documento di piano adottato, nel caso in cui la provincia abbia ravvisato elementi di incompatibilità con le previsioni prevalenti del proprio piano territoriale, o con i limiti di cui all’articolo 15, comma 5, ovvero ad assumere le definitive determinazioni qualora le osservazioni provinciali riguardino previsioni di carattere orientativo.
Il PGT all'esame dei giudici milanesi era quello del Comune di Milano, depositato in visione al pubblico dopo l'adozione dal 15 settembre al 15 ottobre 2010, con termine per la presentazione delle osservazioni era venuto a scadenza il 15 novembre 2010. Da tale data dovevano computarsi, ad avviso del ricorrente,  i novanta giorni entro i quali lo strumento avrebbe dovuto essere approvato; termine, quest'ultimo, la cui scadenza avrebbe dovuto quindi fissarsi al 13 febbraio 2011. Essa era stata successivamente revocata, con la deliberazione del 21 novembre 2011.

Ad avviso della ricorrente, anche a voler ritenere che dalla revoca dell'approvazione dovesse decorrere nuovamente il termine di novanta giorni per concludere l'iter del piano, la nuova scadenza sarebbe venuta a cadere alla data del 19 febbraio 2012, mentre l'approvazione effettiva del PGT di Milano è intervenuta soltanto il 22 maggio 2012, ossia ben oltre tale termine.

Il TAR Lombardia, rigettando il ricorso, conferma l'orientamento già espresso dall'univoca giurisprudenza della Sezione, la quale ha già avuto modo di affermare, in più occasioni, che della disposizione dell'articolo 13, comma 7, della L.R. n. 12 del 2005, e dell'analoga disposizione contenuta all'articolo 14, comma 4, della medesima legge, debba darsi un'interpretazione costituzionalmente orientata. 

Per questa via, si è ritenuto di dover escludere che l'inosservanza dei termini normativamente prescritti possa determinare automaticamente l'inefficacia dell'intero procedimento sino ad allora svolto (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 19 novembre 2014, n. 2765; 11 gennaio 2013, n. 86; 20 dicembre 2010, n. 7614; 10 dicembre 2010, n. 7508).  In particolare, si è affermato che una soluzione che sanzionasse con la perdita di efficacia degli atti la mera violazione del termine condurrebbe inevitabilmente "(...) ad esiti contrastanti con il principio di buon andamento dell'azione amministrativa, posto dall'art. 97 Cost.".  E invero, accogliendo la tesi suddetta "(...) l'attività amministrativa precedentemente esercitata verrebbe posta nel nulla, con conseguente obbligo per l'amministrazione di rinnovare l'intero procedimento, il tutto in contrasto con il principio di economicità oltre che con la ratio acceleratoria sottesa alla norma." (così la richiamata pronuncia della Sezione n. 7508 del 2010).

Per converso, la soluzione interpretativa cui la Sezione ha aderito, e che viene ribadita, ha evidenziato che la previsione dell’inefficacia degli atti assunti è collocata incidentalmente nel testo dell’articolo. Ciò – secondo l’orientamento richiamato – “consente di riferire la sanzione della inefficacia alla inosservanza non del termine di novanta giorni, previsto nella prima parte della norma, ma di quanto stabilito nella seconda parte della disposizione, ossia alla violazione dell’obbligo di decidere sulle osservazioni e di apportare agli atti del p.g.t. le conseguenti modificazioni.”.

Conseguentemente, “l’inefficacia degli atti assunti si verifica solo quando la loro adozione non sia stata preceduta dalla decisione delle osservazioni presentate dagli interessati” (così ancora la sentenza n. 7508 del 2010).

Tale lettura, oltre ad essere consentita dal tenore letterale della previsione normativa, è altresì in linea con il principio generale per il quale i termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi sono di regola non perentori, soprattutto allorché si tratti di procedure complesse, con la partecipazione di una pluralità di soggetti, a garanzia del contemperamento di tutti gli interessi, pubblici o privati, coinvolti (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 14 novembre 2012, n. 2750).

Se un commento è consentito, è legittimo sostenere una interpretazione fondata sulla lettera della norma (nella fattispecie sulla "connessione" delle parole ex art. 12 preleggi), ma è difficile ignorare che il legislatore regionale, sbagliando o meno, ha indicato nell'inefficacia degli atti assunti la conseguenza del comportamento omissivo degli enti locali.

Può anche sostenersi, come nel caso dell'art. 13, c. 7, della L.R. 12/2005, che questa sia la risposta del sistema all'evento della mancata controdeduzione alle osservazioni. Ma di fronte ad un dettato letterale così chiaro pare curioso anche sostenere che la norma dica qualche cosa di diverso da quello che dice: ossia che  gli atti assunti, nessuno escluso, sono inefficaci.

Il testo della sentenza 24 aprile 2015 n. 1032 del TAR Lombardia, Milano, sez. II, è disponibile di seguito:



N. 01032/2015 REG.PROV.COLL.
  N. 00347/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 347 del 2013, proposto da:
M. s.r.l. Giuseppe Tempesta e Stefano Cassamagnaghi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Maria Sala in Milano, Via Hoepli, 3; 
contro
Comune di Milano, rappresentato e difeso dagli avv.ti Antonello Mandarano, Maria Lodovica Bognetti e Paola Cozzi, con domicilio in Milano, Via Andreani 10;
Provincia di Milano, non costituita in giudizio; 
per l'annullamento
- della deliberazione del Consiglio comunale n. 16 del 22 maggio 2012, pubblicata sul BURL, Serie Avvisi e Concorsi, n. 47 del 21 novembre 2012, con la quale è stato definitivamente approvato il Piano di Governo del territorio e di tutti gli allegati di detta delibera;
- della deliberazione del Consiglio comunale n. 25 del 13-14 luglio 2010, di adozione del Piano di Governo del Territorio;
- della deliberazione del Consiglio comunale n. 60 del 21 novembre 2011, con la quale è stata revocata la deliberazione del Consiglio comunale n. 7 del 4 febbraio 2011;
- di tutti gli elaborati di cui il PGT è composto;
- di ogni altro atto e provvedimento presupposto, connesso e consequenziale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 febbraio 2015 la dott.ssa Floriana Venera Di Mauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1. La ricorrente M. s.r.l. è proprietaria di un’area, sita nel Comune di Milano, tra Via dei Fontanili e Via Corrado II il Salico, catastalmente individuata al foglio 458, particelle 353 e 366, della superficie di mq 1.447,00.
In base alla disciplina del Piano Regolatore Generale, antecedente al Piano di Governo del Territorio (PGT), l’area era classificata in zona omogenea B3, con destinazione funzionale “I/R”, ossia “zone industriali-residenziali”, ed era come tale edificabile con un indice di 3 mc/mq (pari a 1 mq/mq).
1.1 E’ successivamente intervenuto il nuovo Piano di Governo del Territorio, adottato con deliberazione del Consiglio comunale n. 25 del 14 luglio 2010, il quale ha previsto, per l’area della ricorrente, l’edificabilità con indice di 0,5 mq/mq, nonché la destinazione a “strada pubblica” di una porzione immobiliare ricadente nella particella n. 366.
1.2. La ricorrente ha presentato osservazioni allo strumento urbanistico adottato, evidenziando che l’area di sua proprietà avesse carattere di “mero relitto” nell’ambito di un contesto urbanizzato, e chiedendo quindi la conferma delle capacità edificatorie previste dalla disciplina di PRG.
1.3 Con deliberazione n. 7 del 4 febbraio 2011, il Consiglio comunale ha approvato il PGT. I relativi atti non sono stati, tuttavia, depositati presso la Segreteria comunale, né è stato pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia l’avviso di approvazione.
1.4 Con la successiva deliberazione del Consiglio comunale n. 60 del 21 novembre 2011, la deliberazione di approvazione del piano è stata revocata.
E’ stata quindi rinnovata la fase di verifica e di valutazione delle osservazioni già presentate e dei pareri già espressi. In tale fase, la ricorrente ha presentato – il 5 gennaio 2012 e il 15 marzo 2012 – un’istanza volta a ottenere la rettifica della qualificazione, operata dagli atti di PGT, della strada di cui alla particella n. 366 come “strada pubblica”.
1.5 Con deliberazione del Consiglio comunale n. 16 del 22 maggio 2012, pubblicata sul BURL in data 21 novembre 2012, il PGT è stato infine nuovamente approvato.
Lo strumento entrato in vigore ha previsto, con riferimento all’area di proprietà della ricorrente, una capacità edificatoria ulteriormente ridotta, fissando un indice di 0,35 mq/mq. E’ stata inoltre confermata la destinazione a strada pubblica di una porzione rilevante dell’area inclusa nella particella n. 366.
2. Il nuovo strumento pianificatorio è stato impugnato dalla ricorrente, allegando i seguenti motivi:
I) violazione del termine per l’approvazione del PGT, fissato dall’articolo 13, comma 7 della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 in novanta giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni, a pena di inefficacia degli atti assunti;
II) violazione di legge ed eccesso di potere, sotto plurimi profili, in quanto il piano avrebbe illegittimamente considerato la via Corrado II il Salico come strada pubblica, privandola quindi di capacità edificatoria, mentre si tratterebbe, in realtà, di una strada che la stessa amministrazione comunale ha riconosciuto almeno fino al 2010 come strada privata; conseguentemente, la privazione della relativa capacità edificatoria sarebbe illegittima e darebbe luogo a un’espropriazione larvata;
III) violazione di legge ed eccesso di potere, sotto plurimi profili, in quanto l’area della ricorrente è stata classificata dal PGT nell’ambito del Tessuto Urbano Consolidato (TUC) – Tessuto urbano di Recente Formazione (TRF) – Ambiti di Rinnovamento Urbano (ARU), ma in realtà si tratterebbe di un relitto nel contesto di un’area completamente urbanizzata, per cui non sarebbe giustificata la scelta di imporre un basso indice di edificabilità (0,35 mq/mq), elevabile a 1 mq/mq (equivalente a quello della variante generale al PRG del 1980, che lo esprimeva come 3 mc/mq) solo mediante il ricorso a meccanismi perequativi;
IV) violazione di legge ed eccesso di potere, sotto plurimi profili, in quanto costituirebbe un esito illogico e paradossale la circostanza che, al fine di beneficiare della capacità edificatoria attribuita all’area dal precedente PRG, la ricorrente debba ricorrere al c.d. “utilizzo di diritti perequati”, consistenti nella specie nell’acquisto di aree da cedere al comune per 2.028,83 mq; l’illegittimità di tale scelta pianificatoria discenderebbe in particolare dalla circostanza che il suolo della ricorrente ricade in un contesto urbanizzato.
4. Si è costituito in giudizio il Comune di Milano, insistendo per il rigetto del ricorso.
5. In prossimità dell’udienza le parti hanno depositato memorie e repliche.
6. All’udienza pubblica del 4 febbraio 2015 la causa è stata chiamata e discussa ed è quindi passata in decisione..
DIRITTO
1. Con il primo motivo la ricorrente allega l’illegittimità del PGT di Milano, in quanto la relativa delibera di approvazione sarebbe intervenuta dopo il decorso del termine fissato dall’articolo 13, comma 7 della legge regionale n. 12 del 2005. Quest’ultima previsione normativa, avendo stabilito che l’approvazione dello strumento urbanistico debba avvenire entro novanta giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni “a pena di inefficacia degli atti assunti”, avrebbe infatti attribuito carattere perentorio al termine di approvazione del piano, i cui atti sarebbero destinati a rimanere privi di effetti in caso di assunzione tardiva della delibera di approvazione.
1.1 Con riferimento al PGT di Milano, allega la ricorrente che il termine non sarebbe stato rispettato.
In particolare, atteso che lo strumento adottato era stato depositato in visione al pubblico dal 15 settembre al 15 ottobre 2010, il termine per la presentazione delle osservazioni era venuto a scadenza il 15 novembre 2010. Da tale data dovevano computarsi i novanta giorni entro i quali lo strumento avrebbe dovuto essere approvato; termine, quest’ultimo, la cui scadenza avrebbe dovuto quindi fissarsi al 13 febbraio 2011.
La prima approvazione dello strumento – avvenuta il 4 febbraio 2011 – risultava quindi assunta entro il termine. Tuttavia, essa era stata successivamente revocata, con la deliberazione del 21 novembre 2011.
Ad avviso della ricorrente, anche a voler ritenere che dalla revoca dell’approvazione dovesse decorrere nuovamente il termine di novanta giorni per concludere l’iter del piano, la nuova scadenza sarebbe venuta a cadere alla data del 19 febbraio 2012, mentre l’approvazione effettiva del PGT di Milano è intervenuta soltanto il 22 maggio 2012, ossia ben oltre tale termine.
1.2 Al riguardo, la difesa comunale eccepisce anzitutto il difetto di interesse della ricorrente, evidenziando che l’accoglimento della censura comporterebbe l’integrale caducazione del PGT di Milano e la conseguente applicazione dell’articolo 25-bis, comma 4 della legge regionale n. 12 del 2005. Per effetto di tale previsione normativa, la ricorrente non potrebbe realizzare alcun intervento di nuova costruzione fino all’intervento del nuovo PGT e, quindi, l’interesse azionato nel presente giudizio sarebbe frustrato in radice.
Nel merito, il Comune allega il carattere ordinatorio del termine di cui all’articolo 13, comma 7, della legge regionale n. 12 del 2005.
Afferma inoltre che, in ogni caso, il termine dovrebbe intendersi rispettato sin dalla data in cui il Consiglio comunale viene investito della fase decisoria finale del piano, che include la valutazione delle osservazioni e dei pareri e l’approvazione conclusiva. Tale interpretazione della disposizione sarebbe necessitata, poiché non sarebbe ragionevole ritenere che i comuni di maggiori dimensioni debbano concludere il processo di approvazione entro lo stesso termine assegnato a quelli più piccoli, e perché l’opposta soluzione consentirebbe potenzialmente alla minoranza consiliare che tenesse comportamenti ostruzionistici di determinare la caducazione di tutti gli atti del complesso procedimento di formazione del piano.
Secondo la difesa comunale, il termine per l’avvio della fase decisionale sarebbe poi di centocinquanta giorni e non di novanta, poiché dovrebbe trovare applicazione la disposizione del comma 7-bis dell’articolo 13 della legge regionale n. 12 del 2005, che stabilisce tale più lungo termine per l’ipotesi in cui “nella fase del procedimento di approvazione del PGT successiva all’adozione dello stesso, venga pubblicato il decreto di indizione dei comizi elettorali per il rinnovo dell’amministrazione comunale”. Con riferimento al Comune di Milano, i comizi elettorali sono stati indetti con decreto prefettizio del 12 marzo 2011, ossia successivamente all’adozione del piano, avvenuta il 14 luglio 2010.
Sulla scorta di tali considerazioni, la difesa comunale ritiene che il termine sia stato rispettato, poiché la delibera che ha revocato la prima approvazione del piano è divenuta esecutiva il 7 dicembre 2011 e, quindi, il termine per dare avvio alla fase decisoria veniva a scadenza centocinquanta giorni dopo tale data, ossia il 5 maggio 2012. Nella specie, il Consiglio comunale era stato investito della fase decisoria finale sin dal 20 febbraio 2012, poiché – secondo quanto affermato dal Comune e non specificamente contestato dalla ricorrente – in quella data la proposta di deliberazione risulta essere stata illustrata e discussa. Sarebbe stato rispettato, peraltro, anche il termine di novanta giorni, che sarebbe venuto a scadenza il 6 marzo 2012.
1.3 Al riguardo, deve respingersi l’eccezione di inammissibilità del motivo per carenza di interesse della ricorrente, in quanto la circostanza che la caducazione del PGT determinerebbe la temporanea paralisi di ogni attività edificatoria, in virtù della previsione dell’articolo 25-bis, comma 4, delle legge regionale n. 12 del 2005, non esclude l’interesse della ricorrente a ottenere la ripianificazione dell’area di sua proprietà.
1.4 Nel merito, il motivo è tuttavia infondato.
1.4.1 Rileva il Collegio che l’articolo 13 della legge regionale n. 12 del 2005 dispone, al comma 7, che “Entro novanta giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni, a pena di inefficacia degli atti assunti, il consiglio comunale decide sulle stesse, apportando agli atti di PGT le modificazioni conseguenti all'eventuale accoglimento delle osservazioni. Contestualmente, a pena di inefficacia degli atti assunti, provvede all'adeguamento del documento di piano adottato, nel caso in cui la provincia abbia ravvisato elementi di incompatibilità con le previsioni prevalenti del proprio piano territoriale di coordinamento, o con i limiti di cui all'articolo 15, comma 5, ovvero ad assumere le definitive determinazioni qualora le osservazioni provinciali riguardino previsioni di carattere orientativo.”.
Il successivo comma 7-bis – introdotto dall'articolo 1, comma 1, lett. a) della legge regionale 3 ottobre 2007, n. 24 e poi modificato nell’attuale tenore dall’articolo 3, comma 9, lett. a) della legge regionale 22 febbraio 2010, n. 11 – stabilisce, inoltre, che “Il termine di cui al comma 7 è di centocinquanta giorni qualora, nella fase del procedimento di approvazione del PGT successiva all’adozione dello stesso, venga pubblicato il decreto di indizione dei comizi elettorali per il rinnovo dell’amministrazione comunale.”.
Le suddette disposizioni stabiliscono, quindi, un termine entro il quale deve pervenirsi alla conclusione del procedimento di formazione del PGT, con evidente ratio acceleratoria dell’iter dello strumento urbanistico.
Al riguardo, deve confermarsi l’adesione all’orientamento già espresso dall’univoca giurisprudenza della Sezione, la quale ha già avuto modo di affermare, in più occasioni, che della disposizione dell’articolo 13, comma 7, della legge regionale n. 12 del 2005, e dell’analoga disposizione contenuta all’articolo 14, comma 4, della medesima legge, debba darsi un’interpretazione costituzionalmente orientata. Per questa via, si è ritenuto di dover escludere che l’inosservanza dei termini normativamente prescritti possa determinare automaticamente l’inefficacia dell’intero procedimento sino ad allora svolto (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 19 novembre 2014, n. 2765; 11 gennaio 2013, n. 86; 20 dicembre 2010, n. 7614; 10 dicembre 2010, n. 7508).
In particolare, si è affermato che una soluzione che sanzionasse con la perdita di efficacia degli atti la mera violazione del termine condurrebbe inevitabilmente “(...) ad esiti contrastanti con il principio di buon andamento dell’azione amministrativa, posto dall’art. 97 Cost.”.
E invero, accogliendo la tesi suddetta “(...) l’attività amministrativa precedentemente esercitata verrebbe posta nel nulla, con conseguente obbligo per l’amministrazione di rinnovare l’intero procedimento, il tutto in contrasto con il principio di economicità oltre che con la ratio acceleratoria sottesa alla norma. Insomma, l’esigenza di celerità sarebbe, invero, del tutto vanificata ove il termine previsto dall’art. 13, c. 7 della legge regionale n. 12/2005 fosse sanzionato con la perdita di efficacia dell’atto di adozione del piano di governo del territorio, in quanto l’amministrazione dovrebbe reiterare l’intera procedura amministrativa.” (così la richiamata pronuncia della Sezione n. 7508 del 2010).
Per converso, la soluzione interpretativa cui la Sezione ha aderito, e che va in questa sede ribadita, ha evidenziato che la previsione dell’inefficacia degli atti assunti è collocata incidentalmente nel testo dell’articolo, il quale – come detto – prevede che “entro novanta giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni, a pena di inefficacia degli atti assunti, il consiglio comunale decide sulle stesse, apportando agli atti di PGT le modificazioni conseguenti all'eventuale accoglimento delle osservazioni”. Ciò – secondo l’orientamento richiamato – “consente di riferire la sanzione della inefficacia alla inosservanza non del termine di novanta giorni, previsto nella prima parte della norma, ma di quanto stabilito nella seconda parte della disposizione, ossia alla violazione dell’obbligo di decidere sulle osservazioni e di apportare agli atti del p.g.t. le conseguenti modificazioni.”. Conseguentemente, “l’inefficacia degli atti assunti si verifica solo quando la loro adozione non sia stata preceduta dalla decisione delle osservazioni presentate dagli interessati” (così ancora la sentenza n. 7508 del 2010).
1.4.2 Tale lettura, oltre ad essere consentita dal tenore letterale della previsione normativa, è altresì in linea con il principio generale per il quale i termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi sono di regola non perentori, soprattutto allorché si tratti di procedure complesse, con la partecipazione di una pluralità di soggetti, a garanzia del contemperamento di tutti gli interessi, pubblici o privati, coinvolti (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 14 novembre 2012, n. 2750).
Sotto altro profilo, non può neppure accedersi alla tesi della ricorrente, secondo la quale la natura ordinatoria del termine sarebbe esclusa dalla circostanza che il comma 7-bis del medesimo articolo 13 abbia previsto una fattispecie nella quale il termine è elevato a centocinquanta giorni. Ad avviso della ricorrente, non sarebbe logico prevedere una maggiore durata di un termine che non sia perentorio.
La tesi, come detto, non convince, in quanto la fissazione del termine, benché ordinatorio, svolge pur sempre una funzione di accelerazione dei procedimenti e individua quali siano le modalità per il corretto operare dell’Amministrazione. Conseguentemente, non può ritenersi priva di rilevanza l’elevazione del termine nella fattispecie di cui al comma 7-bis, posto che – al contrario – sarebbe irragionevole fissare un termine, benché non perentorio, che non possa essere ragionevolmente osservato.
1.4.3 Deve, quindi, concludersi nel senso che della disposizione di legge regionale debba farsi necessariamente un’interpretazione costituzionalmente orientata, volta a garantire l’osservanza dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e buon andamento della pubblica amministrazione (articoli 3 e 97 della Costituzione), nonché ad assicurare l’esigenza che la legge regionale si attenga ai principi fondamentali desumibili dalla legge statale (articolo 117, terzo comma, della Costituzione), la quale stabilisce l’efficacia a tempo indeterminato della delibera di adozione del piano, fissando unicamente i termini di efficacia delle correlate misure di salvaguardia, peraltro di durata pluriennale (articolo 12 del d.P.R. n. 380 del 2001).
Pertanto, tra le possibili interpretazioni, consentite dal tenore letterale della previsione normativa, deve privilegiarsi quella, sopra illustrata, che attribuisce al termine per l’approvazione finale del piano natura ordinatoria, ponendo la sanzione dell’inefficacia in correlazione con la mancata valutazione delle osservazioni pervenute.
1.5 Deve, poi, evidenziarsi che la giurisprudenza della Sezione ha altresì preso in considerazione, ai fini della valutazione del rispetto del termine, la circostanza che alla data della sua scadenza fosse in corso la fase decisoria finale del PGT, ritenendo in tal caso legittimo e rispettoso della previsione normativa l’operato del Comune (v. le richiamate sentenze n. 2765 del 2014 e n. 7614 del 2010).
Ciò è quanto avvenuto anche nel caso di specie, poiché l’avvio della fase di approvazione (20 febbraio 2012) ricade entro i novanta giorni dalla data in cui la delibera di revoca della precedente approvazione è divenuta esecutiva (7 dicembre 2011), né risulta che la rinnovata fase procedimentale di approvazione sia stata successivamente interrotta.
Aderendo all’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, deve quindi concludersi nel senso che il termine sia stato, nella specie, osservato, senza che a tal fine occorra interrogarsi in merito all’applicabilità del più lungo termine previsto dal comma 7-bis dell’articolo 13.
1.6 Deve, infine, escludersi che possano trovare ingresso, in questa sede, le ulteriori argomentazioni svolte dalla ricorrente nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, laddove essa afferma che, a seguito della revoca della precedente approvazione, avrebbe dovuto essere avviato un nuovo procedimento pianificatorio (v. memoria del 30 dicembre 2014, p. 3).
La censura è inammissibile, in quanto formulata solo in una memoria non notificata.
In ogni caso, essa è da ritenere comunque infondata nel merito, posto che l’intento dell’Amministrazione comunale di revocare unicamente la deliberazione finale di approvazione del precedente strumento urbanistico è chiaramente evincibile dagli atti assunti, né la ricorrente evidenzia le ragioni per le quali una scelta siffatta dovrebbe ritenersi illegittima.
1.7 In definitiva, per tutte le suesposte ragioni, il primo motivo di ricorso deve essere respinto.
2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la circostanza che il piano abbia qualificato la via Corrado II il Salico, ricadente nella particella n. 366, di sua proprietà, come strada pubblica (v. tavola n. R.01/3A del Piano delle Regole del PGT), e quindi non abbia attribuito alla stessa alcuna capacità edificatoria (in virtù di quanto previsto dall’articolo 4 delle NdA del Piano delle Regole). Ad avviso della ricorrente, si tratta invece di una strada che l’Amministrazione comunale ha riconosciuto almeno fino al 2010 come strada privata, per cui la privazione di capacità edificatoria darebbe luogo a un’espropriazione larvata.
In particolare, ad avviso della ricorrente, il carattere privato della strada risulterebbe dai seguenti documenti (tutti allegati al ricorso introduttivo, sub f):
- la licenza del 17 aprile 1972, recante l’autorizzazione alla recinzione del suolo;
- la nota comunale del 13 luglio 1986 (rectius: 1988) recante la qualificazione dell’area come strada privata;
- la nota a firma del Vice Sindaco del 30 agosto 1999, recante la qualificazione della strada come privata, con conseguente addebito degli oneri di manutenzione e sicurezza ai proprietari.
La stessa conclusione sarebbe supportata anche dal certificato di destinazione urbanistica del 12 febbraio 2010, che indica la necessità di presentare, in una con il titolo edilizio, “impegnativa per la cessione al Comune di Milano per sede stradale della via Corrado il Salico (...)” (allegato al ricorso introduttivo, sub d).
La strada sarebbe stata, inoltre, considerata come privata anche nel corso delle trattative svolte dalla ricorrente con il Comune di Milano per la permuta tra l’area di sua proprietà e quella messa a disposizione dal Comune.
Infine, non sussisterebbero gli indici individuati dalla giurisprudenza per qualificare la strada come pubblica, trattandosi di un tracciato viario a fondo cieco e sterrato, destinato da sempre all’uso dei soli frontisti.
2.1 La difesa comunale ha, tuttavia, contestato le circostanze di fatto allegate dalla ricorrente, evidenziando che la strada in questione non è sterrata, ma asfaltata; che essa non è inibita all’uso collettivo da alcuna recinzione; che viene indistintamente utilizzata dalla collettività, sia come sede di parcheggio, sia per accedere agli esercizi commerciali siti nella stessa strada (ossia un’autofficina e due ristoranti).
Secondo l’Amministrazione, nella specie sussisterebbero i presupposti per ritenere avvenuta la dicatio ad patriam della strada. Inoltre, la ricorrente avrebbe dato atto espressamente dell’attuale utilizzazione della strada per uso pubblico nelle trattative intercorse con il Comune volte alla permuta di aree, poi non andata a buon fine.
Ad avviso del Comune, la strada, pur privata, dovrebbe quindi ritenersi di uso pubblico, e ciò giustificherebbe l’interesse dell’Amministrazione ad acquisirne la proprietà, come risultante dal certificato di destinazione urbanistica.
Infine, il Comune ha evidenziato che l’articolo 7.4 della NdA del Piano dei Servizi del PGT include nell’unica definizione di “infrastrutture viarie” sia gli “spazi pubblici” che quelli “di uso pubblico” che siano “destinati alle sedi stradali”. Nella specie, dovrebbe quindi ritenersi che la strada in questione sia stata inclusa tra le infrastrutture viarie proprio in quanto spazio “di uso pubblico”.
2.2 Ritiene il Collegio che il motivo articolato dalla ricorrente sia infondato, a prescindere dalla natura pubblica o privata da riconoscere alla strada di che trattasi.
E invero, ciò di cui la Società si duole non è la qualificazione in sé della strada – che essa comunque non contesta di dover mantenere all’attuale destinazione e di dover cedere al Comune in occasione dell’edificazione sul fondo di sua proprietà – bensì la circostanza che non sia stata attribuita capacità edificatoria all’area destinata all’infrastruttura viaria. Capacità che, quindi, dovrebbe essere necessariamente “spesa” su altra porzione del lotto.
Non è quindi controverso tra le parti che la strada sia attualmente esistente, che debba rimanere nell’attuale sede e che debba essere altresì ceduta al Comune.
A fronte di tali circostanze, ritiene il Collegio che del tutto legittimamente non sia stata attribuita alla strada alcuna capacità edificatoria.
E invero, è da ritenere del tutto logico e ragionevole che un’area già stabilmente destinata a infrastruttura viaria – per di più probabilmente aperta all’uso pubblico, secondo i convincenti elementi addotti dal Comune – e destinata a mantenere tale destinazione, non sia in grado di esprimere una propria capacità edificatoria. Non si ravvisa, invero, alcuna significativa differenza rispetto all’ipotesi in cui l’area fosse stata destinata a verde privato, a zona agricola o ad altre finalità incompatibili con l’edificazione, e rispetto alle quali la situazione della ricorrente, per i profili da essa allegati, appare assimilabile.
2.3 In conclusione, per le suesposte ragioni va ribadita l’infondatezza del secondo motivo di ricorso.
3. Con il terzo motivo la ricorrente censura le scelte operate dal PGT di Milano con riferimento all’area di sua proprietà, la cui capacità edificatoria è stata ridotta da 3 mc/mq (pari a 1 mq/mq) a 0,35 mq/mq, sottraendo inoltre dal computo l’area occupata dalla via Corrado II il Salico. Tale capacità edificatoria, secondo quanto prospettato dalla Società, risulterebbe poi azzerata sulla base di quanto risulta dal certificato di destinazione urbanistica, nel quale le particelle n. 366 e 353, di proprietà della ricorrente, sono state inserite in un unico comparto edificatorio con le particelle n. 98 e 227, appartenenti ad altri proprietari, sulle quali insistono costruzioni che hanno già saturato le possibilità di edificazione attribuite dal piano.
La ricorrente evidenzia inoltre che l’osservazione presentata, volta al mantenimento delle capacità edificatorie previste dal PRG, sarebbe stata “parzialmente accolta” dal Comune, ma facendo rinvio alla previsione che consente, per le aree inserite nel Tessuto Urbano Consolidato, di raggiungere l’indice di utilizzazione territoriale di 1 mq/mq mediante l’utilizzo di diritti perequati. Indicazione, questa, che la ricorrente reputa contraddittoria.
3.1 Il motivo è infondato.
Rileva anzitutto il Collegio che, secondo quanto affermato costantemente dalla giurisprudenza, gli apprezzamenti compiuti dall’Amministrazione in sede di pianificazione urbanistica sono da ritenere sindacabili solo laddove risultino inficiati da arbitrarietà od irragionevolezza manifeste, ovvero da travisamento dei fatti in ordine alle esigenze che si intendono nel concreto soddisfare (così, ex multis, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 15 maggio 2014, n. 1281).
Inoltre, l’Amministrazione non è tenuta a confutare analiticamente le singole osservazioni, poiché queste ultime costituiscono meri apporti collaborativi, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che le osservazioni siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 7 luglio 2008, n. 3358; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 22 luglio 2014, n. 1972).
Costituisce, poi, una massima giurisprudenziale consolidata l’affermazione per cui “Fatte salve le scelte incidenti su zone territorialmente circoscritte, in sede di adozione di uno strumento urbanistico l’onere di motivazione gravante sull’amministrazione è di portata generale e risulta soddisfatto tramite l’indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte urbanistiche, senza necessità di una motivazione puntuale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 febbraio 2014 n. 793; id. 10 maggio 2012 n. 2710; id. 8 giugno 2011 n. 3497 e id. 3 novembre 2008 n. 5478).” (così Cons. Stato, Sez. IV, 1° luglio 2014 n. 3294. V. anche Ad. Plen., n. 24 del 1999). Con l’ulteriore corollario per cui “L'amministrazione comunale non è tenuta ad una particolareggiata motivazione in ordine ad ogni singola scelta urbanistica effettuata con il nuovo strumento di pianificazione, anche laddove la nuova scelta si discosti da destinazioni precedentemente impresse al territorio dal precedente strumento urbanistico, essendo sufficiente che emergano nel complesso le ragioni che sorreggono l'esercizio della potestà pianificatoria (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 12/05/2011 n.2863)” (così ancora Cons. Stato, n. 3294 del 2014, cit.).
Nel caso oggetto del presente giudizio, non è ravvisabile nessuna delle situazioni in presenza delle quali la giurisprudenza ravvisa un affidamento qualificato del privato rispetto alla precedente disciplina urbanistica, tale da determinare un più stringente onere motivatorio delle scelte di piano. Tali evenienze – comportanti un onere di motivazione più incisivo – sono state ravvisate infatti: nel superamento degli standards minimi di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444; nella lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, da accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, da aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio rifiuto su domanda di concessione edilizia, ecc.; nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (v. TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1972 del 2014, cit.).
Nessun affidamento qualificato poteva invece vantare la ricorrente, in ragione della mera circostanza che la precedente disciplina di piano prevedesse un determinato indice di edificabilità, ad essa più favorevole rispetto a quello attualmente stabilito.
3.2 Ciò posto, deve osservarsi che la scelta operata dal PGT di Milano di contenere gli indici di utilizzazione territoriale interessa tutto il territorio comunale.
In particolare, gli indici di utilizzazione territoriale applicabili alle aree della ricorrente (0,35 mq/mq, elevabili a 1 mq/mq in caso di ricorso a diritti perequati) operano per l’intero Tessuto Urbano Consolidato, ai sensi dell’articolo 6, comma 1, delle NdA del Piano delle Regole (v. doc. 8 del Comune).
Si tratta di previsioni che appaiono coerenti con le complessive finalità di contenimento delle edificazioni e del consumo del suolo poste alla base dello strumento pianificatorio; finalità chiaramente enunciate al paragrafo 1.6 della Relazione generale del Documento di Piano del PGT. Nella Relazione si legge, tra l’altro, che “Oggi il vuoto tra il costruito può essere letto come un bene prezioso dal punto di vista ambientale e paesaggistico all’interno del territorio metropolitano, e come una straordinaria risorsa per offrire nuove opportunità progettuali in termini di qualità urbana. (...) Milano è una città, pertanto, che non si può permettere di consumare ancora suolo, e pertanto adotta il consumo-zero come principio tendenziale, che deve avviare una seria politica di sostenibilità in grado di ridisegnare una città più attrattiva, dotata di una vera e propria strategia ambientale alla scala urbana e regionale e, soprattutto, in grado di migliorare sensibile l’efficienza dei suoi servizi alla luce di una previsione verosimile sul numero di abitanti che potrà ospitare e sulle lore reali esigenze da oggi ai prossimi anni (...)” (v. doc. 13 del Comune, p. 43 s.).
Le scelte operate con riferimento ai terreni della ricorrente risultano, pertanto, non manifestamente illogiche – in quanto rispondenti alle finalità dello strumento – né tanto meno irragionevolmente afflittive in danno della Società interessata, perché dettate con riferimento all’intero Tessuto Urbano Consolidato.
D’altra parte, l’Amministrazione ha fornito riscontro all’osservazione presentata dalla Società odierna ricorrente, evidenziando che “Per quanto attiene poi la richiesta specifica a che ‘le aree di modesta entità e fino a 2.000 mq, ed inserite nel tessuto urbano consolidato, vengano considerate con capacità edificatoria, in termini volumetrici, inalterata rispetto a quella espressa dal P.R.G. vigente’, si evidenzia che nelle aree del tessuto urbano consolidato sarà attribuito un indice di utilizzazione territoriale unico con la possibilità di raggiungere l’Ut massimo di 1 mq/mq mediante l’utilizzo di diritti perequati” (v. doc. 3 del Comune). Indicazione, quest’ultima, che risulta poi effettivamente recepita nel PGT approvato (v. articolo 6, comma 1, quarto periodo delle NdA del Piano delle Regole – doc. 8 del Comune, pp. 15 s.).
Neppure possono essere presi in considerazione gli elementi che la ricorrente adduce al fine di affermare l’inutilizzabilità delle pur ridotte capacità edificatorie del proprio suolo. Si tratta invero di circostanze di mero fatto, relative al singolo caso, che non infirmano la ragionevolezza della previsione di carattere generale applicabile (anche) ai terreni in questione. Né – d’altra parte – è consentito a questo giudice accedere a valutazioni di merito, che trascendano il mero vaglio di legittimità delle scelte dell’Amministrazione.
3.3 In definitiva, per le suesposte ragioni, il terzo motivo di ricorso va rigettato.
4. Con il quarto motivo la ricorrente si duole della circostanza che, per fruire delle capacità edificatorie previste dal precedente PRG (come detto, 3 mc/mq, pari, nella nuova disciplina, a 1 mq/mq), sia necessario ricorrere all’utilizzo di diritti perequati. Ciò che, con riferimento al suolo della ricorrente, equivarrebbe a costringere M. s.r.l. ad acquisire aree a servizi da cedere al Comune per un’estensione di circa mq 2.028, 83.
Tale previsione sarebbe illegittima, perché sarebbe irragionevole applicare l’istituto della perequazione a situazioni tra loro del tutto differenti. In particolare, con riferimento alle aree di proprietà della ricorrente, sarebbe stato necessario tenere conto della situazione di fatto, ossia della circostanza che i terreni in questione costituiscono un “mero relitto”, sito in un contesto urbanizzato.
4.1 Al riguardo, si è già detto che il PGT di Milano ha stabilito un indice di utilizzazione territoriale uniforme di 0,35 mq/mq per tutte le aree comprese all’interno del TUC e, inoltre, ha previsto la possibilità di elevare tale indice a 1 mq/mq ricorrendo a diritti perequati.
Come pure si è evidenziato, tali previsioni sono state dettate per un’ampia porzione del territorio comunale, prescindendo dalle singole situazioni di fatto, in coerenza con la finalità di contenimento del consumo di suolo assunta quale “filosofia” complessiva dello strumento urbanistico.
D’altra parte – come anche sopra illustrato – l’odierna ricorrente non versava in alcuna delle situazioni idonee a determinare un onere di particolare motivazione delle scelte urbanistiche compiute nei confronti del suolo di sua proprietà.
4.2 In definitiva, per le suesposte ragioni, anche il quarto motivo di ricorso è infondato.
5. In conclusione, l’intero ricorso deve essere respinto.
6. La particolare complessità delle questioni affrontate giustifica la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 4 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Giovanni Zucchini, Presidente FF
Stefano Celeste Cozzi, Primo Referendario
Floriana Venera Di Mauro, Referendario, Estensore
L'ESTENSOREIL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/04/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Copyright © www.studiospallino.it