Con sentenza n. 246 del 21 gennaio 2015 il T.A.R. Lombardia, Milano, interviene sul dibattito relativo alla portata della tipologia della ristrutturazione edilizia come definite dall'articolo 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio.
Confermando un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, il T.A.R. Milano ribadisce che non vi sono problemi a qualificare ristrutturazione edilizia gli interventi che comportino aumento del volume, in quanto è lo stessi art. 10, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 380/2001 ad assoggettare a permesso di costruire “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino... (a) modifiche del volume...”.
E' solo nell'ipotesi in cui vi sia un intervento realizzato tramite demolizione e ricostruzione che le modifiche volumetriche estranee alla sagoma dell'edificio originario sono escluse.
Nella fattispecie, i lavori oggetto dell’intervento avevano determinato la trasformazione di un locale interrato da deposito a locale con permanenza di persone. Tale mutamento di destinazione concretizza certamente un aumento della superficie lorda di pavimento (s.l.p.) e, quindi, della volumetria complessiva, ma non può che essere collocato nella categoria della ristrutturazione edilizia, essendo esso diretto alla trasformazione di un edificio esistente.
Il relativo abuso, per il quale era stata presentata domanda di condono edilizio, deve essere quindi inquadrato nella tipologia 3 (Opere di ristrutturazione edilizia come definite dall'articolo 3, comma 1, lettera d) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 realizzate in assenza o in difformita' dal titolo abilitativo edilizio)di cui alla tabella allegata al Decreto-legge n. 269/2003, e non alla tipologia 1 (Opere realizzate in assenza o in difformita' del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici).
Il testo della sentenza 21 gennaio 2015 n. 246 del T.A.R. Lombardia, Milano, è disponibile di seguito.
N. 00246/2015 REG.PROV.COLL.
N. 01201/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione
Seconda)
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale
1201 del 2014, proposto da:
V. N. , rappresentata e difesa dall'avv. Marco Masante, con domicilio eletto
presso lo studio di quest’ultimo in Milano, Via Boscovich, n. 17;
contro
COMUNE di MILANO, in persona del Sindaco
p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Antonello Mandarano, Elena Ferradini,
Paola Cozzi, Maria Lodovica Bognetti, Alessandra Montagnani e Maria Giulia
Schiavelli, domiciliato presso gli Uffici dell’Avvocatura civica in Milano, Via
Andreani, n. 10;
per
l'annullamento
dell'ingiunzione di pagamento del Comune
di Milano prot. gen. 26749/2014 del 15.01.2014, con la quale si ingiunge al
ricorrente di pagare entro sessanta giorni dalla notifica la somma di euro
31.438,78, a titolo di oneri concessori, oltre a richiedere di presentare
evidenza del saldo dell’oblazione (pari ad euro 3.093,50), ed il pagamento di
ulteriori diritti e marche per euro 202,42;
dell'avviso del Comune di Milano p.g.
618965 del 16/09/2013 con cui si contestavano maggiori oneri così ripartiti
(primaria 14.786,33, secondaria 11.619,74, costo di costruzione 2.541,00);
dell'avviso del Comune di Milano, non
protocollato, ricevuto il 29.9.10, con oggetto “Richiesta di permesso di
costruire in sanatoria presentata con atti 1226609.0 in data 9/12/2004” con cui
si contestavano maggiori oneri così ripartiti (primaria euro 16.264,96,
secondaria 12.781,71, costo di costruzione 2.541,00);
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio
del Comune di Milano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno
4 dicembre 2014 il dott. Stefano Celeste Cozzi e uditi per le parti i difensori
come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto
quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il sig. V. N., odierno ricorrente, è
proprietario di un immobile situato nel territorio del Comune di Milano, in via
Bressan n. 44, ubicato al piano terra (ove è allocata una attività commerciale)
ad al piano interrato (in origine adibito a deposito) di uno stabile realizzato
agli inizi del 900.
2. In data 9 dicembre 2004, il sig. V. N.
ha presentato al Comune di Milano una domanda di condono edilizio ai sensi del
decreto-legge n. 269 del 2003, riguardante lavori eseguiti sul predetto
immobile finalizzati alla trasformazione della porzione interrata da deposito a
locale con permanenza di persone annesso all’attività commerciale.
3. Il Comune di Milano, con nota del 29
settembre 2010, ha comunicato l’accoglimento dell’istanza, liquidando in euro
31.587,68 l’importo complessivo del contributo da corrispondere per il rilascio
del titolo.
4. Avendo l’interessato contestato tale
ammontare, lo stesso Comune, con nota del 13 settembre 2013, ha sostanzialmente
confermato, salvo talune modifiche che ai fini della decisione non hanno
rilievo, i calcoli effettuati, richiedendo il pagamento di un importo pari ad
euro 31.431,58 .
5. Infine, in data 17 gennaio 2014, è
stata emessa l’ingiunzione di pagamento con la quale l’Amministrazione ordina
al sig. V. N. di effettuare il versamento della suindicata somma.
6. Il ricorrente ritiene che la
quantificazione del contributo effettuata dal Comune di Milano sia errata a suo
danno e, per questa ragione, propone il ricorso in esame con il quale chiede
l’annullamento degli atti sopra indicati.
7. Si è costituito in giudizio, per
opporsi all’accoglimento delle domande avverse, il Comune di Milano.
8. La Sezione, con ordinanza n. 612 del 9
maggio 2014, ha accolto l’istanza cautelare.
9. In prossimità dell’udienza di
discussione del merito, le parti hanno depositato memorie, insistendo nelle
loro conclusioni.
10. Tenutasi la pubblica udienza in data 4
dicembre 2014, la causa è stata trattenuta in decisione.
11. Con il primo motivo., il ricorrente
sostiene che tutti gli atti con i quali l’Amministrazione ha determinato
l’importo del contributo da corrispondere e ne ha, conseguentemente, chiesto il
versamento, sarebbero stati adottati dopo che sulla domanda di condono del 9
dicembre 2004 si è formato il silenzio-assenso e dopo la scadenza del termine
triennale di prescrizione del diritto a pretendere il conguaglio, previsto
dall’art. 36, comma 32, del decreto-legge n. 269 del 2003. Per questa ragione
tali atti sarebbero tutti illegittimi.
12. Tali censure possono essere trattate
congiuntamente con quelle contenute nel quinto motivo, laddove la parte deduce
la violazione degli artt. 1 e seguenti della legge n. 241 del 1990, nonché
dell’art. 97 Cost., avendo l’Amministrazione provveduto con notevole ritardo
sulla domanda di condono.
13. In proposito il Collegio osserva
quanto segue.
14. Premesso che, per costante
orientamento giurisprudenziale, la violazione del termine di conclusione del
procedimento e, quindi, il ritardo con cui l’amministrazione provvede sulla
domanda del privato, non determina di per sé l’illegittimità del provvedimento
emanato(cfr. fra le tante T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 28 novembre 2013, n.
10219), si deve osservare che l’art. 32, comma 36, del decreto-legge 30
settembre 2003, n. 269, convertito con legge 24 novembre 2003, n. 326,
stabilisce che “La presentazione nei termini della domanda di definizione
dell'illecito edilizio, l'oblazione interamente corrisposta nonché il decorso
di trentasei mesi dalla data da cui risulta il suddetto pagamento, producono
gli effetti di cui all'articolo 38, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n.
47. Trascorso il suddetto periodo di trentasei mesi si prescrive il diritto al
conguaglio o al rimborso spettante”.
15. Questa disposizione, in sostanza,
sancisce l’estinzione degli illeciti penali edilizi al ricorrere di tre
condizioni: la tempestiva presentazione della domanda di condono; il tempestivo
versamento dell’oblazione; il decorso del termine di trentasei mesi dalla data
di presentazione della domanda di condono (la Corte Costituzionale, con sent.
n. 70 del 28 marzo 2008, ha peraltro dichiarato l’illegittimità costituzionale
della disposizione nella parte in cui non prevede che l’estinzione del reato
possa verificarsi anche in assenza del decorso del suddetto termine, qualora il
comune attesti l’esattezza dell’importo versato dal richiedente a titolo di
ablazione).
16. L’ultima condizione (il decorso del
termine di 36 mesi) ha la finalità di offrire ai comuni un congruo lasso
temporale per effettuare l’attività di controllo sulla correttezza degli
importi versati a titolo di oblazione. Qualora l’attività di controllo non si
esaurisca entro tale termine o, comunque, non si provveda entro tale termine a
contestare l’ammontare degli importi versati, si producono due effetti: il
primo è quello già visto, e cioè l’estinzione dei reati edilizi commessi
dall’autore dell’abuso; l’altro consiste nella prescrizione del diritto del
comune ad ottenere l’eventuale conguaglio dell’oblazione e, reciprocamente,
l’estinzione del diritto del richiedente di ottenere l’eventuale rimborso (cfr.
Corte Cost. sent. n 70 del 2008 cit.).
17. Chiariti in questo modo il significato
e la ratio della norma in esame, è agevole rilevare come la
prescrizione in essa contemplata non riguardi il diritto a percepire
l’eventuale conguaglio relativo agli oneri di concessione, il pagamento dei
quali non ha alcun rilievo a fini penalistici, ma riguardi al contrario, come
detto, il diritto a percepire l’eventuale conguaglio relativo all’oblazione.
18. L’art. 32, comma 36, del d.l. n. 269
del 2003 non è dunque applicabile alla fattispecie di cui è causa, nella quale
viene in rilievo esclusivamente la quantificazione degli oneri di concessione,
per i quali non può dunque ritenersi maturata la prescrizione.
19. Per quanto concerne l’altro aspetto -
e cioè la ritenuta tardività della richiesta di conguaglio in quanto formulata
dopo il perfezionamento del silenzio-assenso sulla domanda di condono - si deve
osservare, al di là di ogni altra considerazione, che i rilievi sollevati dalla
parte muovono da un errato presupposto.
20. Invero, affinché sulla domanda di
condono possa formarsi il silenzio-assenso, ai sensi dell’art. 32, comma 37,
del d.l. n. 269 del 2003, è necessario l’avvenuto versamento in misura
integrale degli oneri di concessione, non essendo a tal fine sufficiente il
versamento del semplice anticipo (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. II, 28
gennaio 2011, n 263; id. 18 maggio 2010, n. 1550; id. 14 ottobre 2010, n.
6955). Nel caso concreto, tale integrale versamento non mai è stato effettuato,
avendo l’interessato provveduto al pagamento del solo anticipo.
21. Ne consegue che il silenzio-assenso
non si è nel caso concreto formato.
22. Si deve pertanto ritenere, alla luce
di tutte le considerazioni svolte, che il motivo in esame non possa essere
accolto.
23. Con il secondo motivo, il ricorrente
sostiene che il Comune non avrebbe potuto applicare le tariffe relative agli
oneri di concessione approvate con deliberazione di Consiglio Comunale n. 73
del 21 dicembre 2007, in quanto tale delibera è divenuta efficace dopo la
formazione del silenzio-assenso sulla domanda di condono. Sostiene pertanto
l’interessato che il Comune di Milano avrebbe dovuto far riferimento ai più
contenuti importi stabiliti dalla previgente disciplina.
24. Anche questo motivo non può essere
accolto in quanto esso si fonda sul falso presupposto dell’avvenuta maturazione
del silenzio assenso sulla domanda di condono (in proposito si rinvia a quanto
illustrato ai punti 20 e 21).
25. Sempre nel secondo motivo, il
ricorrente lamenta che dal provvedimento impugnato non sarebbero evincibili le
modalità di calcolo seguite dal Comune di Milano. La doglianza è sviluppata nel
terzo motivo laddove si deduce il difetto motivazionale degli atti impugnati.
26. In proposito si deve osservare che le
modalità di calcolo degli oneri di concessione sono rigidamente stabiliti dalla
vigente normativa e dagli atti generali approvati dai comuni, pertanto non è necessario
che i provvedimenti di liquidazione dei relativi importi illustrino le modalità
di calcolo degli stessi, essendo comunque possibile per l’interessato
verificarne la correttezza applicando i parametri normativi.
27. Il motivo in esame non può essere
quindi condiviso.
28. Con il quarto motivo il ricorrente
sostiene che il Comune di Milano avrebbe errato nella qualificazione dell’abuso
oggetto dell’istanza di condono, avendolo qualificato quale intervento di nuova
costruzione da ascrivere alla tipologia 1, di cui alla tabella allegata al
decreto-legge n. 269 del 2003, in luogo della tipologia 3.
29. Ritiene il Collegio che, per le
ragioni di seguito esposte, vadano confermate le conclusioni cui è giunta di
recente la Sezione in casi analoghi a quello in esame.
30. In base alla tabella allegata al
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003,
n. 326, vanno ascritte in tipologia 3 le opere di ristrutturazione edilizia
come definite dall'articolo 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. 6 giugno 2001,
n. 380 realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio.
31. La Sezione ha già avuto modo di
chiarire che (come peraltro afferma testualmente la norma) per stabilire se un
intervento possa essere ascritto a tale tipologia, occorre fare riferimento
alla definizione contenuta nel citato art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n.
380 del 2001 (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. II, 13 maggio 2014, n. 1304; id.
11 luglio 2011 n. 1863).
32. Stabilisce questa disposizione che
sono interventi di ristrutturazione edilizia quelli rivolti a trasformare gli
organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare
ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
33. E’ peraltro pacifico che non osta alla
possibilità di qualificare un’opera quale intervento di ristrutturazione il
fatto che la stessa determini un aumento di volume: in tal senso è dirimente
l’art. 10, comma 1, lett. c) dello stesso d.P.R. n. 380 del 2001 che assoggetta
a permesso di costruire “gli interventi di ristrutturazione edilizia che
portino… (a) modifiche del volume…”. Come si vede infatti, questa disposizione,
nell’ammettere esplicitamente che gli interventi di ristrutturazione possano
anche determinare modifiche del volume, ammette implicitamente che i medesimi
interventi possano fra l’altro determinare aumenti di volumetria.
34. A contrario non si può invocare
l’inciso contenuto nel citato art. 3, comma 1, lett. d) che esclude dall’ambito
della ristrutturazione edilizia gli interventi di demolizione e ricostruzione
con modifiche volumetriche. La norma, in questa parte, si riferisce soltanto ai
casi in cui l’intervento consista appunto nella demolizione e ricostruzione di
un preesistente manufatto; negli altri casi, quando cioè non si procede a
demolizione e ricostruzione, torna a valere la regola generale che, come visto,
ammette che la ristrutturazione edilizia possa comportare modifiche del volume.
35. Ciò chiarito, va rilevato che i lavori
oggetto dell’intervento di cui è causa hanno determinato la trasformazione di
un locale interrato da deposito a locale con permanenza di persone con aumento
della superficie lorda di pavimento (s.l.p.) e, quindi, della volumetria
complessiva.
36. Appare evidente, per le ragioni sopra illustrate,
come questo intervento, nonostante abbia determinato aumento della s.l.p., non
possa che essere ascritto alla categoria della ristrutturazione edilizia,
essendo esso diretto alla trasformazione di un edificio esistente.
37. Di conseguenza l’abuso in questione va
senz’altro inquadrato nella tipologia 3 di cui alla tabella allegata al
decreto-legge n. 269 del 2003, e non alla tipologia 1 come vorrebbe invece il
Comune di Milano.
38. Per completezza si deve peraltro
evidenziare come la giurisprudenza invocata dalla difesa di parte resistente
(Consiglio di Stato, sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3358) non sia del tutto
attinente al caso in esame. Difatti, mentre nella fattispecie esaminata dal
giudice di appello si era in presenza di un consistente aumento di volumetria,
nel caso in esame l’aumento è molto contenuto, riguardando esso solo una
porzione dell’immobile trasformato.
39. Il motivo in esame è quindi fondato.
40. Per queste ragioni il ricorso deve
essere accolto. Per l’effetto l’atto impugnato deve essere annullato e il
Comune di Milano deve ricalcolare l’ammontare del contributo tenendo in
considerazione le indicazioni sopra fornite.
41. La non univocità della giurisprudenza
induce il Collegio a disporre la compensazione delle spese di giudizio, salvo
l’onere del contributo unificato a carico del Comune soccombente, ai sensi
dell’art. 13, comma 6 bis1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
la Lombardia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come
in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione.
Spese compensate, fermo a carico della
parte soccombente l’onere di rimborso del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di
consiglio del giorno 4 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Lorenzo
Stevanato, Presidente
Giovanni
Zucchini, Consigliere
Stefano
Celeste Cozzi, Primo Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/01/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod.
proc. amm.)
V. N. , rappresentata e difesa dall'avv. Marco Masante, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Milano, Via Boscovich, n. 17;