Vincolo ambientale: l'esclusione di volumi e superfici dalla sanatoria paesaggistica non è tema che appartiene al diritto dell'Unione

Jesus Cortinovis
Per i giudici comunitari nessuna delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 42/2004 e ss.mm.ii. rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione Europea. Tali disposizioni non costituiscono, infatti, attuazione di norme del diritto dell’Unione, restando conseguentemente ai Giudici nazionali la verifica delle sanzioni relative agli abusi edilizi in zone sottoposte a vincolo paesaggistico.


La questione che ha portato i giudici di Lussemburgo a pronunciare la sentenza del 6 marzo 2014, relativa alla causa C-206/13, prende spunto da una questione sorta in Sicilia. In particolare, con riferimento ad un nuovo volume, già oggetto di domanda di sanatoria, la competente Soprintendenza, con provvedimento amministrativo del 2011, aveva ingiunto la rimessione in pristino dello stato dei luoghi mediante la dismissione dell’abuso; il tutto in applicazione dell'art.167 del D.Lgs. n.42/2004 e ss.mm.ii., (c.d. Codice Urbani) che impone sempre la demolizione di volumi e superfici non autorizzate qualora edificate in aree sottoposte a vincolo ambientale. Ad eccezione delle previsioni di cui all’art. 167, comma 4, del Codice Urbani e delle disposizioni introdotte dal più recente D.P.R. n.139/2010, all'edificazione di un'opera non assentita, in area sottoposta vincolata paesaggistico, segue sempre la demolizione anche quando questa pare irragionevole.

E’ proprio stata l'irragionevole sproporzione tra l'abuso e la sanzione demolitoria, dell'opera non assentita, ad indurre il Giudice nazionale, in particolare del T.A.R. di Catania, a rimettere, con ordinanza n. 802 del 10 aprile 2013, ai giudici di comunitari la valutazione sulla conformità dell'art. 167 del Codice Urbani rispetto al dettato dell'art.17 della Carta dei diritti fondamentali UE (c.d. Carta), ove questa fosse interpretata nel senso che le limitazioni al diritto di proprietà possano essere imposte solo a seguito di un accertamento della effettiva, e non solo astratta, esistenza di un interesse contrapposto.

Il T.A.R. di Catania, a sostegno, aveva evidenziato come, nel diritto dell’Unione, la materia della tutela del paesaggio non è autonoma né concettualmente distinta rispetto alla materia della tutela dell’ambiente, bensì che è parte di essa. Il giudice del rinvio nel richiamare una serie di norme comunitarie, aveva altresì evidenziato che non ogni attività edificatoria, anche se comportante aumento di volumetria, risulta sempre e comunque lesiva dei valori tutelati dalla normativa in questione. Secondo lo stesso giudice, un accertamento che includa la possibilità di sanatoria dietro pagamento di una sanzione pecuniaria potrebbe essere effettuato in concreto se il Codice Urbani non prevedesse la rigida, astratta e presuntiva esclusione delle opere comportanti «creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati».

In questa ipotesi la tutela del paesaggio potrebbe risultare, da una valutazione concreta, compatibile con il mantenimento dell’opera. Sul tema, i giudici di Lussemburgo, non sono però intervenuti nella competenza del Codice Urbani lasciando, di fatto, ai giudici nazionali la verifica della sanzione demolitoria per gli abusi edilizi realizzati in zone sottoposte a vincolo paesaggistico.

I giudici comunitari, pur riconoscendo che il procedimento amministrativo in esame presenta un collegamento con il diritto dell’Unione in materia di ambiente, hanno però evidenziato che la nozione di «attuazione del diritto dell’Unione», di cui all’art. 51 della Carta, richiede l’esistenza di un collegamento di una certa consistenza, che vada al di là dell’affinità tra le materie prese in considerazione o dell’influenza indirettamente esercitata da una materia sull’altra.

Per stabilire, infatti, se una normativa nazionale rientri nell’attuazione del diritto dell’Unione, occorre verificare, tra le altre cose, se essa abbia lo scopo di attuare una disposizione del diritto dell’Unione, quale sia il suo carattere e se essa persegua obiettivi diversi da quelli contemplati dal diritto dell’Unione, anche se è in grado di incidere indirettamente su quest’ultimo, nonché se esista una normativa di diritto dell’Unione che disciplini specificamente la materia o che possa incidere sulla stessa.

In tal senso, la Corte ha, pertanto, precisato che nessun elemento permette di concludere che le disposizioni del D.Lgs. n. 42/2004 e ss.mm.ii. rientrino nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Occorre, inoltre, tenere conto dell’obiettivo della tutela dei diritti fondamentali nel diritto dell’Unione, che è quello di vigilare a che tali diritti non siano violati negli ambiti di attività dell’Unione. Il perseguimento di tale obiettivo è motivato dalla necessità di evitare che una tutela dei diritti fondamentali, variabile a seconda del diritto nazionale considerato, pregiudichi l’unità, il primato e l’effettività del diritto dell’Unione.

La sentenza della Corte di giustizia UE del 6 marzo 2014, causa C-206/13, è disponibile a questo indirizzo.
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